Quelle cozze alla Diossina di Taranto vendute illegalmente in tutta Italia, scoperta la truffa

Nuova truffa ai danni di ignari consumatori: dei criminali vendevano "per buone" quintali di cozze contaminate dalla diossina.

Un’organizzazione rubava cozze allevate nel mare di Taranto, anche nella zona interdetta per la presenza di diossina e Pcb, e le vendevano senza farle passare per un processo di depurazione

Sui mercati ittici di mezza Italia sarebbero finiti quintali di cozze con alti tassi di diossina molto pericolose per la salute. Venduti come prodotti di alta qualità certificata, i mitili in realtà provenivano da un vero e proprio mercato parallelo di prodotti contaminati chimicamente e biologicamente.

Immesse nella filiera tramite la contraffazione della tracciabilità, le cozze venivano spacciate come prodotto di alta qualità, ma (ovvio) rischiosissimo per la salute pubblica.

La grossa truffa è emersa dopo che alcuni mitilicoltori avevano denunciato ingenti furti di prodotti ittici e i seguito all’operazione della Capitaneria di porto-Guardia Costiera di Taranto, che ha portato all’esecuzione di sette ordinanze di custodia cautelare, tra carcere e domiciliari.

In particolare, i militari hanno verificato l’esistenza di una organizzazione criminale che trafugava i mitili da impianti siti nel primo e secondo seno Mar Piccolo – o li coltivavano abusivamente in impianti illegittimi – per poi distribuirli ad “acquirenti di fiducia locali” oppure a grandi centri di spedizione, ricavandone ingenti guadagni derivanti dal praticamente inesistente, costo di produzione o acquisto in quanto prodotto dell’attività illecita del furto.

Un sistema grazie al quale i criminali aggiravano le norme sanitarie sulla sicurezza alimentare, che prevedono accurati cicli depurativi dei mitili e le movimentazioni del prodotto per abbattere la contaminazione batterica e livelli di PCB e diossine, causando in questo modo seri rischi per la salute pubblica.

Dalle indagini è venuto fuori che alcuni dei malfattori organizzavano i furti e la vendita dei beni sottratti, le operazioni di trattamento, sgranatura dei pergolati di mitili (per perderne la tracciabilità, data dalla colorazione della retina scelta da ogni miticoltore) nonché di consegna del prodotto confezionato in sacchi di 10 chili ciascuno agli “acquirenti di fiducia”, previa prenotazione telefonica della quantità richiesta. Ulteriori verifiche hanno anche messo in luce la vendita del prodotto in due centri di spedizione all’ingrosso di Taranto che provvedevano ad etichettare come proprio, il prodotto in questione, “sanandone” di fatto la provenienza.

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Germana Carillo

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