Vietata la vendita di Zara, H&M e altri marchi di fast fashion in questo famoso e-commerce francese

La piattaforma online Vestiaire Collective mira a rendere la moda accessibile a tutti, compresi gli articoli di lusso, concentrandosi sul second hand e a ridosso del Black Friday del 24 novembre scorso, l’azienda francese ha preso una decisione radicale: bandire dal suo sito tutti gli articoli di 30 marchi di fast fashion

Zara ed H&M, Mango e Abercrombie & Fitch, Gap e Uniqlo e molti altri: dopo un primo passo fatto nel 2022, la piattaforma di e-commerce Vestiaire Collective ha finalmente preso la sua decisione e ha cancellato definitivamente migliaia di prodotti legati alla fast fashion.

Il motivo? Sensibilizzare i consumatori che, d’ora in poi, ogni volta che proveranno a comprare o a vendere articoli appartenenti alla lista di brand vietati riceveranno un messaggio che li informerà delle ragioni del divieto: stop alla moda usa e getta.

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Questi marchi contribuiscono a una produzione e a un consumo eccessivi, con conseguenze sociali e ambientali devastanti nel Sud globale – spiega Dounia Wone, Chief Impact Officer di Vestiaire Collective –. È nostro dovere agire e aprire la strada ad altri operatori del settore affinché si uniscano a noi in questo movimento, così da avere un impatto insieme.

Dietro questa iniziativa, la piattaforma mira a spingere i consumatori a combattere il consumo eccessivo nel settore della moda. Sappiamo ormai bene, infatti, che l’industria tessile è una delle più inquinanti al mondo con non meno di 100 miliardi di capi di abbigliamento prodotti ogni anno, che generano oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti.

https://www.instagram.com/p/Czs3cY_tnAD/

Per dare seguito a questa azione, Vestiaire Collective ha svelato una serie di immagini di grande impatto generate con l’intelligenza artificiale con pile di vestiti attorno a monumenti famosi:

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=720440363445048&set=pb.100064372736508.-2207520000&type=3

Ogni anno, il settore della moda contribuisce al 10% delle emissioni globali di gas serra, con circa 1,7 miliardi di tonnellate di CO2. Più del 70% dell’abbigliamento sul mercato è in fibre sintetiche come il poliestere, che nei lavaggi rilasciano microplastiche che finiscono nei mari e nei fiumi. E non solo: questi capi generano quantità impressionanti di rifiuti e sono realizzati per lo più nel continente asiatico, laddove la manodopera è più economica, da operai costretti a turni di lavoro massacranti. Sarebbe anche ora di dire basta.

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