Dal campo profughi agli Oscar passando per I Goonies, il discorso di Ke Huy Quan è un inno a credere nei propri sogni

Ke Huy Quan, dopo anni lontano dal piccolo schermo, ha vinto l’Oscar come Miglior attore non protagonista. Nel suo discorso ha voluto ricordare dove la sua storia è iniziata: su un barcone come profugo diretto ad Hong Kong, dopo essere scappato dal Vietnam

A guardarlo oggi, con in mano la statuetta come Miglior attore non protagonista, non si direbbe che Ke Huy Quan abbia iniziato la sua carriera da bambino nel mondo del cinema. Eppure gli appassionati di Indiana Jones se lo ricorderanno nel 1984 al fianco di Harrison Ford.

Era infatti lui Short Round, il giovane aiutante cinese orfano de Indiana Jones e il tempio maledetto. Tutto sembrava spianato per Quan, che era stato notato da Steven Spielberg in persona. Fu proprio il celebre regista a volerlo nuovamente protagonista de I Goonies, in cui ha interpretato Data.

Poi, però, dopo questi due ruoli importanti ne sono seguiti solo di minori e poi via via sempre meno sino a smettere di recitare e iniziare a lavorare dietro le quinte come assistente alla regia o stunt coreographer. Fino a giorni nostri, quando viene chiamato da Daniel Kwan e Daniel Scheinert per far parte del loro nuovo film Everything everywhere all at once.

La fuga dal Vietnam su un barcone

Il resto è storia. Una storia culminata sul palco degli Oscar 2023, dove la pellicola ha fatto incetta di premi. Tra le sette statuette vinte c’è proprio quella di Ke Huy Quan come Miglior attore non protagonista. Ma a commuovere tutti, visti anche i recenti avvenimenti di Cutro, è il discorso pronunciato dal vietnamita e il messaggio forte che ha voluto lanciare sui migranti e sulla loro accoglienza.

Tra le lacrime, si rivolge alla mamma ottantaquattrenne che lo sta guardando da casa e a cui dice “Ho appena vinto un Oscar!”. Oltre alla mamma, però, Quan ha altro da ricordare: le sue origini. L’attore ha infatti lasciato il suo paese d’origine (allora Vietnam del Sud) con il padre e cinque fratelli e sorelle su un barcone diretto ad Hong Kong.

La mamma e altri tre fratelli si rifugiarono invece in Malaysia prima che l’intera famiglia venisse accolta negli Stati Uniti nel 1979. Di questo ha voluto parlare alla consegna del premio:

Il mio viaggio è cominciato su una barca, ho passato un anno in un campo profughi e sono finito qui sul palco più importante di Hollywood. Dicono che le storie così sono solo per il cinema, ma sono storie reali, è questo il vero sogno americano.

“Tenete vivi i vostri sogni”

Sui sogni si è concentrato poco dopo, esortando tutti a mantenerli vivi. Quei sogni a cui lui stesso aveva quasi rinunciato prima del ritorno sul piccolo schermo e del successo ritrovato.

Grazie all’Academy, a mia mamma, al mio fratellino che ogni giorno mi ricorda di prendermi cura di me. Devo tutto a mia moglie, che per anni mi ha detto che il mio giorno sarebbe arrivato. Bisogna credere ai sogni, io ci ho quasi rinunciato, ma a voi dico: tenete vivi i vostri sogni.

L’abbraccio con Harrison Ford, quasi 40 anni dopo

E se tutto questo non bastasse, a far scendere un’altra lacrimuccia ci ha pensato un’altra scena che rimarrà iconica di questa 95° notte degli Oscar: quell’abbraccio tra lui e Harrison Ford (salito sul palco per premiare il film vincitore, causalmente proprio Everything everywhere all at once), un po’ a chiudere quel cerchio iniziato quasi 40 anni fa.

Magie che accadono solo agli Oscar? Forse, ma magie rese possibili da chi veramente non ha mai smesso di sognare e ci ha continuato a credere, nonostante tutto sembrasse ormai perduto.

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