Che sapore aveva il vino bevuto dai Romani? Gli archeologi lo hanno appena rivelato

Nella società romana il vino ha occupato un posto di rilievo, ma che sapore aveva allora il nettare degli Dei e quale era il suo colore? Un recente studio comparativo sul modello dei qvevri della Georgia offre una visione della vinificazione romana

Fruttato, floreale, vegetale. Il vino è un connubio di sfumature odorose, cromatiche e riferimenti. Chi è appassionato del mondo enoico impara con l’esperienza e con la curiosità a descrivere il “nettare degli Dei” prodotto come lo conosciamo oggi.

Ma ai tempi dei Romani, com’era il vino bevuto nei banchetti e nelle taverne? Che aspetto aveva questa bevanda e qual era il suo sapore? Probabilmente aranciato e con note speziate.

Lo svela un nuovo studio scientifico pubblicato sulla rivista Antiquity. Un team di archeologi ha provato a scoprire di più sulle caratteristiche del vino che circolava nell’antica società romana e lo ha fatto confrontando i dolia, grandi contenitori in terracotta, con i qvevri usati in Georgia per la produzione di vino.

@Antiquity

I testi dell’antica Roma e la ricerca archeologica forniscono preziose informazioni sulla viticoltura e sulla produzione, commercio e consumo del vino, ma si sa poco della natura sensoriale di questo prezioso bene” osservano gli esperti.

Gli studiosi sono partiti proprio dai dolia poiché è con questi che avveniva la vinificazione all’epica. Si tratta di grandi recipienti rotondi dalla bocca ampia in cui il vino fermentava e riposava per l’invecchiamento.

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Oggi, le tecniche di vinificazione sono certamente cambiate. Tuttavia, in area caucasica sopravvive l’antichissima tradizione dell’uso dei qvevri per ottenere il vino. Proprio queste gigantesche anfore, patrimonio culturale dell’UNESCO, potrebbero fornire indicazioni sulle tecniche usate dai Romani.

qvevri georgia

@D. Van Limbergen/Antiquity

Si ipotizza, infatti, un “un trasferimento millenario di cultivar e tecniche da est a ovest, forse portato in Italia attraverso contatti fenici ed etruschi”.

Partiamo subito dal colore. Il colore di un vino è dato dai polifenoli, concentrati prevalentemente sulla buccia degli acini, e può variare nel tempo per l’ossidazione perché questi composti non sono stabili.

Dalle fonti antiche sappiamo che il colore dei vini bianchi erano piuttosto carico. Ciò è esattamente quanto accade ai vini prodotti nei qvevri, sottoposti a una lunga macerazione. Dato che il mosto veniva messo a macerare con le bucce per una maggiore estrazione dei polifenoli, il vino bianco acquisiva toni aranciati. 

Ciò accade oggigiorno per la produzione degli Orange wines o vini macerati. Quanto al sapore, gli archeologi credono anche i Romani sottoponessero il vino a ossidazione controllata conferendogli sapori erbacei e note di frutta secca e spezie.

I dolia, proprio come i qvevri, erano interrati per garantire alla soluzione una temperatura costante, dove, grazie anche al materiale poroso, veniva favorita la formazione dei lieviti naturali chiamati flor.

Non c’è dubbio che, proprio come nel caso dei qvevri, i vini antichi conservati nei dolia erano regolarmente sottoposti a lieviti flor. Questi lieviti superficiali producono diversi composti chimici, tra cui acetaldeide e acetoino, ma in particolare il sotolon, che è responsabile del gusto leggermente piccante dei vini flor” scrivono gli esperti.

Il vino dei Romani aveva, quindi, con probabilità note di spezie come il curry, ma anche aroma di pane.

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Fonte: Antiquity

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