Scatta la petizione contro l’ultra-fast fashion di Shein (che nel frattempo si aggiudica un finanziamento da 2 miliardi)

Un nuovo round di finanziamenti da 2 miliardi, così il colosso cinese dello shopping online raccoglie ancora cifre esorbitanti nel suo ultimo giro di raccolta fondi che valuta l’azienda a 66 miliardi di dollari, circa un terzo in meno rispetto a un anno prima. La società punta a chiudere il 2023 con una crescita del 40% del fatturato e non accenna a fermarsi. Ma il suo rimane pur sempre un meccanismo assolutamente insostenibile dal punto di vista umano e ambientale, tanto che in Francia scatta la petizione

Nuovo giro di finanziamenti per Shein: 2 miliardi di dollari (pari a 1,85 miliardi di euro circa) tondi tondi dopo aver avuto già una prima sovvenzione di quasi un miliardo di un anno fa (nonostante ciò, la società ha registrato un calo del valore di quasi un terzo).

Il round annovera tra gli investitori principali Sequoia capital, General Atlantic e Mubadala e, secondo il Wall Street Journal, il colosso, messo in piedi nel 2008 dall’imprenditore Chris Xu, punta a chiudere l’anno fiscale in incremento del 40%.

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Quadruplicando il suo fatturato negli Stati Uniti, Shein nel 2022 è stata decretata una delle tre fonti di shopping più utilizzate dai consumatori americani e l’app più scaricata, battendo Amazon.

Ma a che prezzo?

Quelli di Shein e di altri colossi dell’online e dell’ultra-fast fashion sono capi venduti a un prezzo ridottissimo e spesso costituiti da materiali di scarsa qualità, nocivi per gli esseri umani (bambini inclusi) e per l’ambiente, poiché attingono a risorse naturali scarse.

Per potere vendere a prezzi così bassi, oltre che sulla scarsa qualità dei materiali utilizzati, la fast fashion si regge sulle strategie di outsourcing e delocalizzazione dei grandi marchi globali, che basano larga parte della loro produzione in stabilimenti caratterizzati da bassissimi costi di manodopera, assenza di tutele efficaci dei lavoratori e scarso rispetto delle normative ambientali.

La petizione dei consumatori francesi

Dopo l’apertura a Parigi di un pop-store e degli store di Tolosa, Montpellier e Lione, il colosso si è assicurato il proprio sistema di filiera in Francia, ma l’iniziativa ha raccolto tra i consumatori più dissensi che opinioni favorevoli dopo che diverse associazioni ambientaliste hanno denunciato il sistema produttivo dell’ultra-fast fashion.

I consumatori francesi hanno così lanciato una petizione per ostacolare l’apertura di nuovi store fisici, firmata da oltre 110mila persone.

In pratica, la petizione chiede che Shein venga bandito prima in Francia e poi nell’Unione Europea “fino a quando non cessi completamente le sue attività”, per ragioni etiche, economiche e ambientali.

Questo marchio deve essere bandito in Francia, quindi nell’Unione Europea fino a quando non cesserà completamente le sue attività. Questa petizione mira ad ottenere, dopo un milione di firme, la possibilità di un referendum cittadino nel nostro Paese – si legge – richiesto dal Governo francese per chiedere il divieto per qualsiasi marchio di vendere sul territorio, da un lato, prodotti non conformi agli standard stabiliti dal sistema di riferimento REACH, invece, quando il numero di nuove referenze offerte è maggiore o uguale a 1000 al giorno, vietando ai francesi l’accesso al sito web e la presenza di negozi fisici temporanei o permanenti.

Firma QUI la petizione.

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Fonte: WSJ

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