La distesa di smartphone sugli Champs Elysées a Capodanno è desolante: davvero preferiamo passare la vita guardando uno schermo?

Le immagini degli Champs-Élysées sommersi da una marea di telefoni sollevati per filmare il conto alla rovescia per il nuovo anno hanno suscitato una reazioni contrastanti. Ma come abbiamo fatto a trovarci al punto in cui preferiamo trascorrere momenti così belli attraverso uno schermo?

In alto i calici! Ma anche no… Ha fatto il giro del mondo l’immagine delle migliaia di persone che agli Champs Elysées hanno sollevato gli smartphone per riprendere i tradizionali fuochi d’artificio di Capodanno sopra l’Arco di Trionfo. Fine 2023, inizio 2024, il futuro più attuale che mai sembra essere questo: nessuno, ma proprio nessuno, che in quella magica notte parigina abbia guardato la persona che era al suo fianco, abbia abbracciato qualcuno, abbia ammirato quei fuochi senza uno schermo davanti.

Una scena surreale, quasi, ma che è drammaticamente figlia del nostro tempo. Molti ne sono rimasti scioccati e indignati, molti altri affermano che tirare fuori gli smartphone a un evento sia ormai la cosa più naturale che ci viene da fare. “Sveglia, siamo nel XXI secolo!”.
Del resto, chiunque abbia assistito negli ultimi anni a un concerto ha potuto constatare quanto fosse complicato in platea vedere il palco se non attraverso decine di schermi che filmavano freneticamente ogni istante…

È proprio così? Davvero non possiamo farci più niente? Davvero filtrare attraverso uno schermo tutto ciò che viviamo, compresa la vita di altre persone (ed è dei nostri figli che parlo), e gettare tutto a valanga sui social è l’unica cosa che ci rimane per essere al passo coi tempi e l’unica in grado di fornirici emozioni? O stiamo esagerando?

Dell’economia dell’attenzione, di dopamina e di altri perché

Molte sono le ragioni per cui siamo così terribilmente legati ai nostri smartphone, ma quello di cui non tutti si rendono conto è che i social e le nostre app in generale sono deliberatamente progettate per “agganciarci”, perché è così che i loro creatori guadagnano. Nulla di più. Queste app fanno parte di quella che è nota come “attention economy” – “economia dell’attenzione”, in cui viene letteralmente venduta la nostra attenzione (il nostro bene più prezioso) così come i nostri dati, piuttosto che beni o servizi: motivo per cui non siamo noi i clienti di queste app, ma gli inserzionisti.

Fateci caso: le nostre vite sono ciò a cui prestiamo attenzione: sperimentiamo ciò a cui prestiamo attenzione, ricordiamo solo ciò cui prestiamo attenzione. E rimane importante ricordare che ogni minuto che passiamo a scorrere senza pensare è un minuto che non abbiamo speso per qualcos’altro. Questi minuti, se ripetuti per ore, giorni, settimane e mesi, si sommano e le giornate passano.

I creatori di app catturano la nostra attenzione in un modo molto semplice: imitando le tecniche utilizzate dalle slot machine, progettate per innescare il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che (tra le altre cose) aiuta il nostro cervello a registrare quando vale la pena ripetere un comportamento e quindi ci motiva a ripeterlo.

La dopamina è essenziale per la sopravvivenza della nostra specie, poiché assicura di continuare a fare cose come mangiare e riprodurci. Ma la cosa complicata dei nostri tempi è che se un comportamento innesca il rilascio di dopamina, saremo motivati a ripetere quel comportamento, indipendentemente dal fatto che sia buono per noi, come l’esercizio fisico, o dannoso, come fare uso di droghe o perdere un’ora su TikTok.

Ciò significa che se si vuole creare un prodotto o un algoritmo che attiri le persone, è abbastanza semplice: si incorpora il maggior numero possibile di trigger di dopamina nel design di quel prodotto. Ed è esattamente quello che hanno fatto i tech designer che sanno che alcune delle ricompense più comuni per noi si presentano sotto forma di un like o un commento a un post. Questo è il motivo per cui è così facile perdere tempo sui social media, sui giochi e sullo shopping: sono quelle con il maggior numero di trigger di dopamina.

Suvvia, è solo un passatempo…

Eppure c’è chi giura che – tornando alla scena dei Campi Elisi di Capodanno – sia lo smartphone un accessorio che è ormai parte integrante della nostra vita, tale per cui abbiamo anche la possibilità di portarci a casa autentici souvenir.

Tale Pamela Rutledge, psicologa e ricercatrice del Media Psychology Research Center la pensa così e sostiene che per lo più si riprende un evento tramite cellulare per avere la possibilità di riviverlo dopo che si è verificato.

È un souvenir che permetterà di ricordare l’evento, ma a differenza di un poster o di un altro ricordo, l’acquisizione dell’immagine consentirà loro di vivere l’evento in modo multisensoriale perché le immagini, in particolare le immagini in movimento, vengono vissute in modo olistico mentre innescano l’evento nelle reti neurali di ricordi che includono sentimenti, emozioni e cognizioni, spiega.

Siete d’accordo?

Il punto è che, se non riconosciamo ciò che sta accadendo intorno a noi e se, soprattutto, non siamo in grado di reagire in qualche modo, possiamo diventare così condizionati a cercare quei famosi flussi di dopamina attraverso i nostri dispositivi che nemmeno un Capodanno a Parigi riusciamo a goderci. Potremmo fare la fine dei topi da laboratorio addestrati a premere una leva per ottenere cibo e cliccare su qualsiasi cosa ci prometta di fornirne una emozione.

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