Dalla stagflazione all’economia di guerra: il conflitto non accenna a fermarsi, quali potrebbero essere le conseguenze

Dalla stagflazione all’economia di guerra, si tornano a usare termini che si ritenevamo superati ma la guerra scatenata dagli attacchi russi sull’Ucraina fanno tornare a riecheggiare nelle nostre orecchie

La crisi energetica, l’aumento del costo delle materie prime, il proseguio della guerra sul suolo ucraino, le stime al ribasso della crescita globale contribuiscono a dipingere una quadro a tinte fosche. In questo contesto, tra speculazioni e difficoltà oggettive, tornano alla ribalta termini e definizioni che pensavamo di non sentire più applicate alla vita di tutti i giorni, dalla stagflazione all’economia di guerra.

Termini desueti per timori contemporanei

L’11 marzo scorso, durante una conferenza stampa, il premier Mario Draghi rispondeva alle domande dei cronisti affermando che non siamo in un’economia di guerra. Ma cosa s’intende nello specifico? Un adeguamento del sistema economico alle necessità e alle esigenze che derivano della guerra: da un lato vuol dire rendere disponibili risorse per gli armamenti e gli eserciti; dall’altro significa organizzare la produzione a sostegno della guerra.

Cosa potrebbe voler dire?

Tenere conto delle esigenze del perdurare di una guerra e anche di quelle della popolazione, già fiaccata dalle restrizioni dai due anni di pandemia è un compito complesso. L’economia di guerra vorrebbe dire per alcune aziende riconvertire la propria attività, impiegare manodopera su una linea di produzione diversa da quella abituale. Più in generale comporterebbe l’impiego delle risorse per sostenere scenari di guerra ma anche un avanzamento tecnologico per affinare le abilità belliche.

Basti pensare al motore a scoppio o al telefono diffusi su larga scala dopo la Prima Guerra Mondiale o allo sviluppo della radio e di Arpanet, progenitore di internet, con il secondo conflitto globale. Questo scenario, qualora si verificasse e ad oggi non è così, potrebbe tradursi in restrizioni e razionamento di vario tipo oltre al cercare di limitare la quantità di moneta circolante con l’emissione di titoli di Stato. Sono tutti scenari, possibili o possibilistici, ma ancora non certi che comunque renderebbero il “problema” dei due gradi in meno del condizionatore sembrerebbe davvero poca cosa.

Caro Bolletta Ispi

©ISPI

Stime di crescita globali

Il Fondo Monetario Internazionale ha reso noto di aver rivisto al ribasso le stime per la crescita mondiale: dopo la ripresa nel 2021, gli indicatori di medio termine indicano che l’attività globale è rallentata con una previsione di crescita globale in discesa dal 6.1% nel 2021 al 3.6% nel 2022 e 2023.

Per l’Italia, nello specifico, la crescita stimata del 3,8% nel 2022 è rivista al 2,3% così come sono al ribasso le previsioni per il 2023: per il Fmi stima che non andrà oltre l’1,7. Di certo questa situazione di instabilità non aiuta nessun mercato con effetti sui costi, ad esempio, sull’energia nonostante il forte l’attivismo governativo italiano e europeo nel cercare l’autonomia a stretto giro dalle riserve russe.

Ci si legherà a altri produttori, dislocati spesso in Paesi ricchi di materie importanti e non sempre particolarmente virtuosi per quanto riguarda la tutela dei diritti dei cittadini. La strada per la vera autonomia, basata sulle rinnovabili è ancora lunga ma percorribile.

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Fonti: Treccani/Ispi online/FMI

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