Massacrata a martellate dall’ex: a processo gli haters che si erano scatenati contro di lei per il trucco e gli abiti

Parole quasi a giustificare un femminicidio efferato, semplicemente perché una donna aveva deciso di vestirsi come meglio credeva senza offendere né ledere nessuno. Ora gli haters di Alessandra Matteuzzi saranno giudicati per i loro commenti irrispettosi sulla sua memoria

Il femminicidio è uno dei crimini più abominevoli che si possa compiere eppure c’è ancora chi – facendosi grande da dietro ad uno schermo – lo giustifica con frasi ripugnanti. Stiamo parlando degli haters, come li si chiama oggi, o dei “leoni da tastiera”, come un tempo erano soprannominati.

L’omicidio era uno di quelli che aveva sconvolto tutti la scorsa estate: quello di Alessandra Matteuzzi, uccisa a martellate da Giovanni Padovani il 23 agosto 2022. Fu massacrata a Bologna, davanti al portone del condominio da quell’ex fidanzato che tanto diceva di amarla.

“Come andava conciata, ovvio che il ragazzo era geloso”

La brutalità del gesto è rimasta a lungo nelle cronache di giornali e telegiornali e qualcuno si è sentito in dovere di dire la sua, quasi per trovare un “alibi” a Padovani. Tra le tante parole in libertà pronunciate probabilmente senza sapere cosa veramente si stava scrivendo ci furono anche quelle di Donatello Alberti, all’epoca direttore della Croce Bianca di Ferrara.

Nelle ore successive all’assassinio, sui social si espresse così:

Comunque anche lei come andava conciata, ovvio che il ragazzo era geloso.

L’uomo fu tra i primi a venire identificati nel corso delle indagini del Pubblico Ministero Bruno Fedeli e dalla Polizia Postale a seguito della denuncia dei familiari di Alessandra che oltre al dolore dovettero sopportare di vedere e leggere questi commenti.

Alberti fu sospeso dall’associazione, ma non fu l’unico a venire rintracciato. Con lui anche altre tre persone che ora andranno a processo con l’accusa di diffamazione aggravata per aver offeso la memoria di Alessandra Matteuzzi. Le frasi erano sempre le stesse, in una sorta di “se l’è cercata”.

Torniamo al classico ragionamento maschilista, antiquato e misogino della donna che deve uscire (sempre se lo “può” fare) vestita da puritana, senza nemmeno un centimetro di pelle fuori, ben coperta, altrimenti ci si può arrogare il diritto di giudicarla, di esserne gelosi, possessivi o peggio ancora di stuprarla, di ucciderla.

Un precedente che si spera faccia scuola

La decisione della Procura di Bologna è storica, una delle prime in Italia in tal senso, e si spera apra una nuova strada su questo delicato argomento, facendo da apripista per dettare regole severe a chi usa i social – spesso anche sotto mentite spoglie – per insultare, discriminare, disonorare chicchessia.

Soddisfatta in tal senso anche l’avvocata Chiara Rinaldi, legale della famiglia di Alessandra:

Speriamo che questo sia solo il primo passo verso una regolamentazione delle attività sui social network che non possono rimanere un Far west. Non si può infangare la memoria di Alessandra, così come quella di altre persone pensando di farla franca. Non si può scrivere tutto ciò che passa nella mente offendendo chiunque. La Procura di Bologna, una delle prime in Italia, ha seguito il nostro ragionamento in punto di diritto. Ora attendiamo fiduciosi che si pronunci anche un giudice, confidando che ciò sia un monito per tutte quelle persone che usano le piattaforme social come una cloaca.

Ci auguriamo anche noi che, dove purtroppo non arriva il buonsenso, arrivi la legge, per punire finalmente chi si esprime con questi termini lesivi della libertà e del rispetto altrui e che invece di condannare questi gesti li eleva a “giusti”, solamente per un po’ di trucco e un abito corto.

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Fonte: ANSA

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