Coronavirus, un nuovo studio spiega perché i bambini si infettano meno e sono meno contagiosi

Che bambini ed adolescenti si ammalino più raramente di Covid-19 sembra ormai una cosa assodata. Ma da cosa dipende il loro minor contagio?

Se è nel naso che il coronavirus trova la sua “porta” principale ed è nel naso che i bambini hanno pochi recettori, allora è per questo che i più piccoli si infetterebbero di meno. Secondo una comunicazione scientifica supportata da alcuni epidemiologi, i bambini hanno un minor rischio di sindrome respiratoria acuta grave per un’infezione da SARS-CoV-2 e minor rischio di mortalità a causa di una “semplice” quantità di recettori.

Secondo la comunicazione pubblicata sulla rivista scientifica Jama, infatti, i bambini esprimono poco il recettore Ace2 – quello che il Sars-CoV-2 utilizza in pratica per infettare le cellule – nell’epitelio nasale. Ecco perché si ammalerebbero più raraemente.

Fin da subito le statistiche avevano confermato la minor probabilità di contrarre il Covid19 nei bambini al di sotto dei 10 anni, tesi supportata anche dallo studio effettuato in Francia e a Vo’ , in Veneto, dal virologo Andrea Crisanti avevano sottolineato la bassa percentuale di contagio nei bimbi e contagiosità (ma non nei neonati), rimanevano però da capire le motivazioni alla base.

Insomma i bambini sono piccoli untori o no? E perché hanno minore probalbilità di infettarsi e di infettare a loro volta? Domande queste a cui prova a rispondere lo studio su Jama, riportato anche dall’epidemiologo Pierluigi Lopalco, a capo della task force pugliese per l’emergenza coronavirus, che fa a sua volta riferimento proprio alla comunicazione di Jama:

Il fatto di avere pochi recettori per il virus in quella che è la porta di ingresso delle infezioni respiratorie giustifica da solo la minore suscettibilità dei bambini all’infezione. Se fosse così, dunque, i bambini oltre ad ammalarsi di meno si infetterebbero anche di meno e sarebbero meno contagiosi”, dice Lopalco.

Lo studio

I ricercatori hanno condotto un esame retrospettivo dell’epitelio nasale su persone di età compresa tra 4 e 60 anni incontrate al Mount Sinai Health System, New York, New York, nel periodo 2015-2018. Sono stati raccolti campioni da individui con e senza asma per la ricerca sui biomarcatori nasali dell’asma stessa. L’epitelio nasale è stato raccolto utilizzando un pennello citologico immediatamente posto nel fluido di stabilizzazione dell’RNA e conservato a -80 ° C. L’RNA è stato poi isolato entro 6 mesi, mentre i campioni di RNA sono stati controllati per qualità e sequenziati come un singolo lotto nel 2018. L’elaborazione dei dati di sequenza includeva l’allineamento e la normalizzazione della sequenza di espressione genica tra geni e campioni.

Dato il ruolo di ACE2 nella voce ospite SARS-CoV-2, l’espressione genica di ACE2 è stata al centro di questo studio. L’età è stata classificata nei seguenti gruppi che riflettono le fasi della vita evolutiva: bambini più piccoli (età inferiore ai 10 anni), bambini più grandi (età 10-17 anni), giovani adulti (età 18-24 anni) e adulti (età dai 25 anni in poi) e ciò che ai ricercatori è balzata all’occhio è stata una notevole differenza legata all’età, con un’espressione genica molto bassa nei bambini al di sotto dei 10 anni e via via crescente con l’aumentare dell’età.

L’espressione del gene ACE2, insomma, era più bassa nei bambini più piccoli.

I risultati, concludono gli studiosi, mostrano l’espressione di ACE2 dipendente dall’età nell’epitelio nasale, il primo punto di contatto per SARS-CoV-2 e il corpo umano. Gli esperimenti hanno mostrato che l’associazione positiva tra espressione del gene ACE2 ed età era indipendente dal sesso e dall’asma e che una minore espressione di ACE2 nei bambini rispetto agli adulti può aiutare a spiegare perché il Covid-19 sia meno prevalente nei bambini.

Se tutto ciò è confermato, conclude dal canto suo Lopalco “i bambini oltre ad ammalarsi di meno si infetterebbero anche di meno, e sarebbero meno contagiosi”.

Ma quanti bambini, in definitiva, si sono ammalati in Italia?

Secondo i dati dell’Unicef, nei momenti di massima espansione dell’epidemia i piccoli italiani contagiati erano l’1% dei pazienti e di questi l’11% aveva bisogno di cure ospedaliere. Sull’intero periodo dell’epidemia preso in esame (ossia fino al 20 maggio 2020), i minori di 18 anni hanno rappresentato il 2,1% dei casi di Covid-19 diagnosticati in Italia, con 4 decessi registrati in bambini fra 0 e 9 anni (su oltre 31mila vittime). In più, sono stati rilevati in numero insolitamente alto (30 volte la normale frequenza) dei casi di malattia di Kawasaki, una rara patologia infiammatoria che colpisce i vasi sanguigni.

In ogni caso, le precauzioni non vanno trascurate. Ancora c’è da capire chi sia immune o chi non lo sia, per cui tutti, grandi e piccini, devono continuare a seguire tutte le pratiche di protezione dal contagio: distanziamento interpersonale, igiene delle mani e degli ambienti e uso della mascherina dai sei anni in su.

Fonte: JAMA / UNICEF

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