Greenpeace consegna le scorie nucleari al Parlamento Europeo

Il Parlamento europeo si è visto consegnare stamattina due container sigillati con cemento e piombo contente campioni di scorie radioattive. Non è stato un attentato terroristico, ma l'ultima azione di Greenpeace per dire no al nucleare e ricordare ai parlamentari europei, alla vigilia della presentazione della direttiva sulla gestione delle scorie nucleari proposte dalla UE, che non ci sono soluzioni ai rifiuti nucleari se non quella di non produrli più.

Il Parlamento europeo si è visto consegnare stamattina due container sigillati con cemento e piombo contente campioni di scorie radioattive. Non è stato un attentato terroristico, ma l’ultima azione di Greenpeace per dire no al nucleare e ricordare ai parlamentari europei, alla vigilia della presentazione della direttiva sulla gestione delle scorie nucleari proposte dalla UE, che non ci sono soluzioni ai rifiuti nucleari se non quella di non produrli più.

Il tutto si è svolto non prima di aver avvertito i servizi di sicurezza del Parlamento e l’Autorità di sicurezza nucleare del Belgio. Così mentre decine di attivisti hanno circoscritto con nastro segnaletico per avvisare della presenza di un sito nucleare, ammanettandosi ai container, un altro gruppo di climber, tra cui anche un italiano, si è arrampicato sui pennoni delle bandiere all’ingresso dell’edificio e aperto lo striscione con su scritto “Nuclear waste, no solution” ovvero Rifiuti nucleari, nessuna soluzione.

I quattro campioni di materiale radioattivo consegnati provengono da località contaminate, ma a cui tutti possono accedere perché ancora aperte al pubblico. Stiamo parlando della spiaggia di Sellafield (Regno Unito), del fondo marino di fronte a La Hague (Francia), delle sponde del fiume Molse Nete in Belgio – tutti e tre siti che ospitano impianti di riprocessamento di scorie nucleari – e di Akokan in Niger, la miniera di uranio gestita da un’azienda controllata da Areva su cui l’associazione ambientalista si era già scagliata contro.

Il fatto è che queste scorie “all’aria aperta” pur essendo pericolosissime, non sono classificate come rifiuti radioattivi in quanto provenienti da attività minerarie o da “emissioni autorizzate”. Ma nel caso in cui vengano raccolti e messi in un contenitori questi stessi materiali devono essere per legge classificati come “rifiuti pericolosi e immagazzinati in sicurezza per secoli o millenni.

Finché ci passeggiamo sopra su una spiaggia queste scorie sono considerate innocue dalle autorità, che, infatti, non chiudono queste aree. Se invece le mettiamo in un contenitore stagno diventano “rifiuti radioattivi” e dunque pericolosi! – denuncia Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace ItaliaLo scandalo delle scorie radioattive disperse nell’ambiente si spiega solo con i forti interessi economici che stanno dietro al nucleare.”

La proposta che la Commissione europea presenterà al Parlamento – realizzata sulla base di documenti del Joint Research Centre (JRC di Ispra e del European Implementing Geological Disposal Technology Platform (IGD-TP) – ignora del tutto la tipologia di queste scorie consegnate oggi da Greenpeace e l’industria nucleare non ha nemmeno idea di come trattarle. Ma del resto è un problema che si pone anche con le altre scorie, che siano esse residui di combustibile delle centrali o i resti contaminati di centrali dismesse, si cerca comunque di “affossarle” seppellendole nei depositi sotterranei. Che però si sono rivelati fallimentari ,come dimostrano le esperienze di USA e in Germania.

Per dimostrare e smentire, dunque, le ottimistiche previsioni che la UE presenterà al Parlamento, Greenpeace ha presentato un rapporto tecnico in cui evidenzia scientificamente tutti i limiti e i diversi punti critici sull’effettiva sicurezza dei depositi di scorie radioattive di profondità.

“Fallita l’opzione di buttarle a mare – conclude Onufrio – hanno già provato a seppellire le scorie sottoterra. I risultati sono stati fallimentari: non bastano rapporti di istituzioni compiacenti per cancellare la realtà!”

Simona Falasca

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