Ode al gatto, la sublime poesia di Pablo Neruda dedicata al felino “dagli occhi d’oro”

Una poesia coinvolgente, magica e dettagliata sulla figura del gatto, una fiera perfetta ma indecifrabile. È l'ode al gatto di Pablo Neruda, uno degli scritti che lo straordinario poeta cileno ha dedicato ai suoi amici animali. Perdetevi in questi versi e innamoratevi ancora di più dei gatti

Pablo Neruda, pseudonimo di  Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, è stato un immenso poeta cileno che con i suoi versi così eleganti e fiabeschi sulla natura, l’amore e la vita ha saputo far sognare generazioni. Quello che non molti sanno è che Pablo Neruda era un grande amante degli animali, cani in particolare ma anche gatti.

Al gatto, animale così fiero, regale, orgoglioso e perfetto nella sua interezza, Neruda ha voluto dedicare un’ode intensa in cui offre al lettore una scrupolosa analisi del felino, le sue caratteristiche peculiari da “l’elastica linea del suo corpo” ai suoi “occhi d’oro”.

Proprio attraverso questi “la notte ha gettato le sue monete”, chiudendo un sipario fatto di meraviglia e mistero. Per Neruda il gatto rimane un animale indecifrabile nella sua bellezza e questa è la sua ode.

Ode al gatto

Gli animali furono imperfetti,
lunghi di coda,
plumbei di testa.
Piano piano si misero in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso: nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.

L’uomo vuol essere pesce e uccello,

il serpente vorrebbe avere le ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca di imitare la mosca,
ma il gatto
vuole essere solo gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.

Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola fessura
per gettarvi le monete della notte.

Oh piccolo
imperatore senz’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto,
nuziale sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto è immondo
per l’immacolato piede del gatto.

Oh fiera indipendente della casa,
arrogante vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un irreperibile velluto,
probabilmente non c’è enigma
nel tuo contegno,
forse sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni, colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.

Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl’imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare il gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.

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