“Da acquacoltura sostenibile”: la nuova etichetta che non tiene conto della sofferenza dei pesci negli allevamenti

La nuova etichetta, sviluppata dal Ministero dell’agricoltura in collaborazione con le associazioni di piscicoltori (API) e di produttori di molluschi (AMA), permetterà di apporre sul pesce il claim "da acquacoltura sostenibile”. Ma è davvero così?

Nell’era delle etichette alimentari che piano piano stanno diventando sempre più informative e dettagliate, a vantaggio dei consumatori, si inserisce anche una novità che riguarda i prodotti ittici.

Parliamo della nuova etichetta o meglio certificazione, sviluppata dal Ministero dell’agricoltura insieme alle associazioni di piscicoltori (API) e di produttori di molluschi (AMA), che permette di siglare i prodotti ittici con il claim da “acquacoltura sostenibile”.

Ma quello che afferma questa etichetta corrisponde davvero alla realtà? Non proprio. A mettere in luce le criticità è Essere Animali che sottolinea in particolare come il disciplinare che la regola non fornisca una definizione di benessere animale, né menzioni criteri chiari in grado di eliminare le principali cause di sofferenza dei pesci negli allevamenti.

D’estate il consumo di pesce aumenta ed è proprio in questo periodo che è bene sensibilizzare i cittadini in merito a quanto avviene negli allevamenti ittici. E un’etichetta come questa, a detta dell’associazione animalista, rischia di confondere e mal informare riguardo al reale miglioramento del benessere animale negli allevamenti di pesce.

In effetti, se leggiamo “da acquacoltura sostenibile” ci viene subito da pensare che i pesci abbiano ottenuto un trattamento “umano” durante la loro crescita e anche al momento della morte (per quanto possibile).

In realtà, scrive Essere Animali, non è così:

La lacuna più lampante nel disciplinare del Ministero è che, in totale antitesi con gli indirizzi di sviluppo intrapresi da normative e standard di certificazione internazionali, non prevede l’obbligo di stordimento efficace prima della macellazione, di fatto non garantendo il benessere degli animali neanche durante le fasi di fine vita, a differenza di quanto accade per gli animali terrestri, per i quali l’obbligo di stordimento è previsto per legge.

La mancanza di criteri chiari che disciplinino il benessere dei pesci è un fatto molto grave, in particolare:

Considerando che l’OIE, organizzazione mondiale per la sanità animale, riconosce i pesci come esseri senzienti, cioè in grado di provare sentimenti come paura e dolore, e il loro benessere è considerato un elemento ormai così importante da essere menzionato esplicitamente in tutti i documenti ufficiali che affrontano il tema della sostenibilità in acquacoltura, dagli orientamenti strategici 2021-2030 della Commissione europea alle linee guida per le aziende sviluppate dalla Global Reporting Initiative.

Insomma, l’etichetta così come è oggi è fuorviante e rischia di spingere i consumatori a comprare un prodotto sulla base di informazioni incomplete.

Come si può migliorare la certificazione da acquacoltura sostenibile

La campagna Acquacoltura INsostenibile di Essere Animali chiede un cambiamento sostanziale della certificazione.

Le richieste sono le seguenti:

  • Integrazione nel disciplinare di una definizione chiara di benessere animale
  • Obbligo di stordimento efficace prima dell’abbattimento
  • Densità massime e qualità dell’acqua nelle gabbie di mare
  • Densità massime e qualità dell’acqua per allevamenti a terra

Resta il fatto che, forse, una vera e propria acquacoltura sostenibile non può proprio esistere. Leggi anche: Pidocchi di mare, crudeltà e sovraffollamento: “non si possono definire etici gli allevamenti ittici”

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Fonte: Essere Animali

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