Pidocchi di mare, crudeltà e sovraffollamento: “non si possono definire etici gli allevamenti ittici”

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La denuncia contro BPA arriva da CIWF Italia, secondo cui inadeguati standard di benessere animale non comportano solo sofferenze per i pesci, ma anche maggiori danni ambientali

BAP, il programma di certificazione specifico per i prodotti ittici non fa abbastanza per tutelare il benessere dei pesci, perché non si possono definire “etici e responsabili” allevamenti in cui centinaia di milioni di pesci sono tenuti in vasche sovraffollate e macellati in modo crudele. La denuncia arriva da CIWF Italia, l’associazione che si occupa esclusivamente della protezione e del benessere degli animali allevati a scopo alimentare.

Come dicevamo, BAP ovvero Best Aquaculture Practices è un programma di certificazione specifico per i prodotti ittici venduti in tutto il mondo, Italia inclusa, che affronta le quattro aree chiave del pesce responsabile: ambientale, sociale, sicurezza alimentare e salute e benessere degli animali, in ogni fase della catena di produzione dell’acquacoltura.

Ma secondo Compassion in World Farming non starebbe facendo abbastanza perché può e dovrebbe migliorare i propri standard. Tant’è, che la certificazione ittica a livello mondiale è finita nel mirino della campagna lanciata dall’associazione per essere stata – negli ultimi tre anni – il fanalino di coda nell’ambito della tutela del benessere dei pesci allevati.

Nel 2020, CIWF aveva lanciato, infatti, una campagna globale per chiedere ai quattro schemi – Aquaculture Stewardship Council (ASC), Best Aquaculture Practices (BAP), Friend of the Sea (FOS) e GLOBAL G.A.P – di introdurre o migliorare i loro standard di benessere per i pesci allevati.

La campagna- spiega l’associazione- ha avuto un impatto positivo e – nel corso dei tre anni successivi – gli schemi di certificazione si sono impegnati per migliorare il benessere dei pesci allevati. Tutti, tranne lo statunitense BAP, unico di questi a non aver apportato alcun miglioramento significativo al benessere dei 500 milioni di pesci allevati che certifica.

Secondo l’associazione, inadeguati standard di benessere animale non comportano solo sofferenze per i pesci, ma anche maggiori danni ambientali. Noi abbiamo parlato tante volte di quanto siano impattanti gli allevamenti ittici, attualmente i pesci godono della protezione legale più scarsa che vi sia, rispetto a tutti gli altri animali di allevamento. La scienza però ha dimostrato che queste creature, così come granchi, aragoste e polpi, sono esseri senzienti, in grado cioè di provare emozioni, paura e dolore.

“Mentre altri schemi di certificazione – come Friend of the Sea (FOS) – si sono impegnati a migliorare i propri standard di benessere per i pesci allevati, in questi anni BAP non ha fatto alcun progresso significativo. Certifica i propri prodotti come ‘sicuri, responsabili ed etici’, pur consentendo il sovraffollamento dei pesci in vasche anguste o gabbie sottomarine e l’utilizzo di metodi di macellazione atroci. Permette anche che predatori come uccelli marini e mammiferi marini vengano abbattuti”, spiega Krzysztof Wojtas, a capo di Compassion in World Farming.

L’aumento delle infestazioni da pidocchi di mare negli allevamenti, inoltre, sta mettendo a dura la prova la sopravvivenza dei salmoni selvatici (sta accadendo già nel Canada occidentale).

Per questo, CIWF chiede l’obbligo di rispettare densità massime di allevamento specie-specifiche, che si basino su dati scientifici e relativi al benessere animale; il divieto dell’utilizzo sistematico di antibiotici, in quanto questo contribuisce al problema dell’antibiotico-resistenza; il divieto di uccidere predatori come uccelli e mammiferi marini.

Ma non solo, limiti obbligatori, specie-specifici, ai periodi di digiuno forzato. Attualmente, infatti, gli allevamenti sono liberi di determinare quanto a lungo i pesci debbano essere sottoposti a digiuno forzato prima di essere trasportati o macellati, al fine di liberare l’intestino e ridurre la contaminazione delle acque.

Ancora, adeguati arricchimenti ambientali per ogni specie per permettere ai pesci di esprimere i propri comportamenti naturali; la riduzione/divieto di utilizzare pesce selvatico pescato come mangime.

L’uso di farina e olio di pesce (FMFO) provenienti da pesci selvatici come mangime per l’acquacoltura contribuisce al sovrasfruttamento delle popolazioni ittiche selvatiche e impatta sul loro benessere.

I pesci pescati soffrono immensamente durante i processi di cattura, sbarco e macellazione. Una percentuale significativa muore, schiacciata nelle reti dal peso del banco, mentre quanti sopravvivono alla cattura e allo sbarco vengono lasciati soffocare o muoiono durante la lavorazione.

Infine, l’ obbligo di utilizzare metodi di macellazioni specie-specifici che comportino una morte rapida e indolore.

Fonte: CIWF Italia

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Giornalista professionista, laureata in Scienze Politiche con master in Comunicazione politica, per Greenme si occupa principalmente di tematiche sociali e diritti degli animali.

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