La prossima pandemia? È già in corso e ad affrontarla è la fauna selvatica secondo gli studiosi

La prossima pandemia è già arrivata e da anni sta decimando la fauna selvatica (ma non solo). Gli esperti avevano già l'allarme e ora non possono che confermare le loro paure

Quando parliamo di “pandemia” non possiamo non pensare immediatamente all’epidemia di Covid-19 e ai suoi strascichi che ognuno di noi, bene o male, ha conosciuto. Tuttavia, quella di SARS-CoV-2 non è la sola pandemia con cui il Pianeta intero deve fare i conti. Un’altra è già qui e sta decimando la fauna selvatica.

Parliamo dell’influenza aviaria, e in particolar modo del ceppo ad alta patogenicità H5N1, che ovunque nel mondo ha sterminato milioni di animali.

Polli d’allevamento, domestici, oche, fagiani, uccelli d’acqua e marini sono stati colpiti dal virus. Sono morti in stato semi-comatoso, con difficoltà respiratorie, debolezza e altri segni clinici, e continuano a perire nei focolai scoperti globalmente.

Lo rivelano biologi, epidemiologi e altri esperti, che studiano questo virus sin da prima degli anni 2000. Il ceppo si è sviluppato nelle oche domestiche in Cina nel 1997 per poi propagarsi nel Sudest asiatico e arrivare ancora più lontano.

Secondo i dati rilasciati Eurosurveillance sui casi notificati all’Organizzazione mondiale per la sanità animale, dal 2003 vi sono state segnalazioni in 63 Paesi di Asia, Africa ed Europa per  infezioni da virus influenzale A/H5N1 in pollame e uccelli selvatici.

Dal 2003, sono stati registrati occasionalmente anche casi di aviaria in cani, gatti, furetti, tigri di zoo alimentate con pollame infetto e altri mammiferi selvatici.

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Diversi zoo hanno chiuso temporaneamente i battenti per debellare la malattia infettiva.

Dall’inizio del 2003, H5N1 ha effettuato una serie di salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche gatti e topi, trasformandosi quindi in un problema di salute pubblica ben più preoccupante. La capacità del virus di infettare i maiali è nota da tempo, e quindi la promiscuità di esseri umani, maiali e pollame è notoriamente considerata un fattore di rischio elevato” scrive l’Istituto Superiore di Sanità.

Proprio nel settore suinicolo l’influenza aviaria ha fatto una strage. Ce lo ricordano gli abbattimenti di massa eseguiti negli allevamenti intensivi colpiti per arginare la diffusione del virus e, come ricorderemo tutti con il caso dei maiali di Cuori Liberi, anche nei santuari.

Negli ultimi anni, il Vecchio Continente è stato messo a ferro e fuoco dall’aviaria. Nel Regno Unito la situazione è allarmante. Il Paese ha dovuto fronteggiare la peggiore epidemia di aviaria della sua storia. In un solo anno, dal 2021 al 2022, il numero di focolai confermato era di 250.

Ma anche le regioni remote dell’Antartide sono state raggiunte dal virus. Dai primi contagi segnalati nel mese di ottobre, l’aviaria si è purtroppo rapidamente diffusa anche in questi territori.

L’aviaria desta preoccupazione anche per la salute delle persone. In due decenni sono stati documentati quasi 900 casi di infezioni da virus H5N1 trasmesse all’essere umano in 23 Paesi. La trasmissione, potenzialmente fatale, si è verificata sia attraverso l’esposizione a pollame e specie selvatiche infetti sia da uomo a uomo.

Nel complesso, a livello mondiale, dal 2003 non si è osservato un marcato miglioramento della situazione relativa all’influenza A/H5N1″ continua l’ISS.

Come gli scienziati temevano, il virus avrebbe potuto minacciare l’intera biodiversità, non solo l’avifauna. Così è accaduto, ecco perché si può e si dovrebbe parlare di pandemia tra la fauna selvatica.

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Fonti: ISS – The Conversation

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