Riscaldamento globale: così le lobby sono riuscite a far sottostimare l’effetto delle emissioni di metano degli allevamenti

Ex funzionari della FAO hanno rivelato al quotidiano The Guardian che le lobby agricole hanno esercitato pressioni per minimizzare il ruolo delle emissioni di metano degli allevamenti sul riscaldamento globale

Ex funzionari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) hanno rivelato a The Guardian come le lobby agricole hanno spinto affinché venisse sottostimato il contributo del bestiame alle emissioni di gas serra.

La vicenda risale agli anni successivi al 2006, quando è stato pubblicato il rapporto “Livestock’s Long Shadow” (LLS), che ha evidenziato per la prima volta il ruolo degli allevamenti nelle emissioni di gas serra. Questo studio ha attribuito il 18% di tali emissioni proprio al bestiame, in particolare ai bovini, il che ha creato un grave problema all’industria agricola che ha poi spinto la FAO a prendere misure per mitigare le implicazioni del rapporto.

Gli ex funzionari della FAO, che com’è facile intuire hanno preferito mantenere l’anonimato, hanno affermato che la censura e le pressioni esterne da parte degli stati finanziatori dell’organizzazione hanno ostacolato il loro lavoro. Alla fine, le lobby agricole sono riuscite ad influenzare la FAO, creando un ambiente in cui la ricerca sul legame tra bestiame e cambiamenti climatici è stata scoraggiata se non addirittura soffocata.

Un ex funzionario ha dichiarato che la lotta per far passare le loro ricerche oltre l’ufficio delle comunicazioni aziendali era molto difficile e che dovevano affrontare una serie di ostacoli e resistenze editoriali:

I lobbisti ovviamente sono riusciti a influenzare la situazione. Hanno avuto un forte impatto sul modo in cui venivano fatte le cose alla FAO e c’era molta censura. Far passare i documenti prodotti oltre l’ufficio per le comunicazioni aziendali era sempre una dura lotta e bisognava respingere una buona dose di vandalismo editoriale.

Il punto cruciale era ovviamente quello di far diminuire le stime del contributo del bestiame alle emissioni di gas serra. Nel 2006, il rapporto LLS aveva calcolato il contributo degli allevamenti al 18% delle emissioni globali, ma negli anni successivi, questo numero è stato costantemente rivisto al ribasso. L’ultimo modello, “Gleam 3.0”, stimava il contributo degli allevamenti al solo 11,2%.

Questi dati contrastano con altre ricerche che suggeriscono che le responsabilità potrebbe essere molto più elevate, fino a poco meno del 30%. Uno studio del 2021 ha infatti rilevato che la cifra dovrebbe essere compresa tra un minimo del 16,5% e un massimo del 28,1%.

Anche la metodologia di calcolo utilizzata dalla FAO è stata criticata perché non utilizza dati atmosferici verificabili, il che potrebbe portare a sottovalutare significativamente le emissioni di metano del bestiame (fino al 47% in paesi come gli Stati Uniti).

La replica della FAO

La FAO ha risposto a queste accuse sostanzialmente negando e sottolineando che i cambiamenti nelle stime riflettono l’evoluzione delle metodologie e delle migliori pratiche, piuttosto che una censura deliberata.

Anne Mottet, responsabile dello sviluppo del bestiame della FAO, ha dichiarato che non c’è stata alcuna pressione particolare da parte delle lobby agricole e che il settore è un partner nella lotta contro il cambiamento climatico:

Il bestiame fa parte della strategia della FAO sul cambiamento climatico e collaboriamo anche con i governi, gli agricoltori e l’industria su questo programma. Non possiamo ignorare i principali attori del settore, ma non c’è stata alcuna pressione particolare da parte loro. Abbiamo accesso a dati e strumenti migliori e anche i calcoli dell’IPCC per le emissioni vengono migliorati e aggiornati regolarmente.

Gli ex funzionari ci hanno tenuto però a precisare che il tipo di dissuazione sulla reale responsabilità degli allevamenti sul riscaldamento globale non era tanto diretta quanto subdola:

Non è che qualcuno veniva da te e ti diceva: ‘Smettila! Non ci piace questo lavoro’. Rendevano semplicemente difficile il tuo lavoro. Non ti invitavano a un incontro con un donatore. Non ottenevi uno spazio quando dovevi parlare. Non ottenevi il sostegno per lo sviluppo dei progetti, per il rafforzamento delle capacità, da tutti i tipi di altre unità della FAO che altri invece ricevevano.

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Fonte: The Guardian

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