Allevamenti intensivi: perché anche l’Italia dovrebbe avere il coraggio di ridurli come sta facendo l’Olanda

Sulla scia del provvedimento olandese, gli ambientalisti chiedono a gran voce una riduzione degli animali negli allevamenti intensivi per ridurre le emissioni inquinanti

Non possiamo più negarlo: il modo in cui produciamo il cibo che mangiamo ha un impatto elevatissimo sull’ambiente e sugli ecosistemi in termini di inquinamento, di depauperamento delle risorse naturali, di degradazione del suolo, di emissioni di gas serra. Attualmente, la produzione di cibo rappresenta quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra (26% del totale).

Più della metà di queste emissioni (59%) proviene dall’allevamento del bestiame destinato alla produzione di carne, prodotti caseari e uova: questo rende la produzione di prodotti alimentari di origine animale la terza fonte di emissioni inquinanti in assoluto dopo il settore della produzione energetica (35% delle emissioni totali) e quello dei trasporti (23%).

Tralasciando i problemi ambientali connessi alla necessità di estesi appezzamenti di terreno da destinare ai pascoli o alla produzione di foraggio (terreni spesso sottratti alle foreste o ai campi un tempo adibiti alla coltivazione di cereali per uso umano) e al consumo di acqua (si pensi che per produrre un chilogrammo di carne servono fino a 15.400 litri d’acqua), c’è anche un altro problema, di non minore importanza: le emissioni inquinanti.

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Sì, perché gli allevamenti intensivi di animali rilasciano in atmosfera gas metano e azoto che si disperdono nell’ambiente andando a inquinare ulteriormente l’aria. Insomma, se pensiamo che la popolazione globale continua a crescere e, con essa, anche la domanda di cibo, è facile comprendere perché la strada per la transizione ecologica debba necessariamente passare anche per il modo in cui ci alimentiamo.

Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato l’iniziativa del governo olandese di ridurre l’impatto ambientale dell’industria della carne riducendo, da qui al 2030, il numero degli animali ospitati negli allevamenti intensivi e addirittura chiudendo alcuni di queste aziende.

La misura del Governo dei Paesi Bassi, com’è ovvio, ha scatenato violente proteste fra gli allevatori che non sono disposti a rinunciare alla propria fonte di guadagno – neanche a fronte di una “ricompensa” elargita dallo Stato a chi sceglie di cambiare mestiere.

Con questo provvedimento, l’Olanda passa dell’essere il primo Paese in UE per numero di capi allevati e quantità di carne prodotta ogni anno al primo Paese a prendere un provvedimento per ridurre concretamente gli impatti sull’ambiente del settore zootecnico.

Per decenni l’Olanda si è distinta negativamente con i suoi elevati livelli di emissioni inquinanti (in primo luogo gas metano e azoto) provenienti dagli allevamenti intensivi, che negli anni hanno finito per deteriorare gli ecosistemi naturali sul territorio.

Finora, nulla era stato fatto per contenere l’inquinamento prodotto dal settore agroalimentare – al punto che il Governo aveva subito (come avvenuto anche per il nostro Paese) una denuncia da parte degli ambientalisti per inazione climatica.

Dopo la denuncia, il Governo di Amsterdam si è attivato per mettere in atto una vera transizione ecologica del settore dell’industria alimentare, che passa anche dalla riduzione del numero degli allevamenti e degli animali allevati, garantendo al contempo migliori condizioni lavorative per i dipendenti di questo settore – fino a giungere al “Memorandum per le aree rurali” con le misure riduttive di cui abbiamo parlato.

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Si potrebbe allora parlare dell’Olanda come di un apripista nella direzione di una riduzione definitiva degli allevamenti intensivi, che si traduce non solo in meno emissioni inquinanti ma anche (soprattutto) in meno sofferenza per gli animali che vivono in condizioni disperate all’interno degli allevamenti e sono condannati a un destino atroce?

Gli ambientalisti europei, anche italiani, chiedono a gran voce che i singoli governi dell’UE prendano provvedimenti simili che tutelino l’ambiente, il benessere degli animali e, non da ultimo, il lavoro degli allevatori.

Anche il nostro Paese è profondamente coinvolto nel processo di inquinamento dell’aria dovuto alla zootecnica intensiva. Un’indagine dell’associazione ambientalista Greenpeace condotta in Lombardia, la regione italiana dove maggiormente si concentrano gli allevamenti intensivi di animali destinati al macello, ha dimostrato che un comune su dieci è a rischio ambientale per livelli eccessivi di azoto nell’aria.

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La riduzione della densità e del numero dei capi allevati continua a essere un tabù per la politica italiana – spiega Simona Savini, responsabile della Campanga Agricoltura per Greenpeace Italia – sebbene il mercato stesso dia indicazioni in tal senso, attraverso cicliche crisi della domanda di prodotti di origine animale che mettono in difficoltà anzitutto gli stessi allevatori, l’anello più debole della catena.

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