Margaret Chepoteltel: la donna che lotta contro le mutilazioni genitali per salvare le sue figlie e tutte le bambine dell’Uganda

In Uganda, Margaret Chepoteltel, coraggiosa madre di due ragazze di 7 e 8 anni, si sta opponendo con forza alla possibilità che le sue figlie siano sottoposte ad una qualche forma di mutilazione genitale femminile (Mgf).

Le mutilazioni genitali femminili, che includono un insieme di pratiche tradizionali di origine antica (clitoridectomia, escissione, infibulazione) consistenti nella rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili o altre lesioni agli organi genitali femminili non motivate da alcuna esigenza terapeutica, sono infatti oggetto di una vasta campagna di denuncia internazionale.

Oggi Margaret è parte attiva della campagna “Make Happiness Not Violence”, lanciata dalla Communication for Development Foundation Uganda (CDFU) per portare avanti la battaglia internazionale contro le Mgf. Grazie al sostegno congiunto della Spotlight Initiative e di UN Women, la suddetta campagna mira ad eliminare ogni forma di violenza contro le donne in Uganda e nel resto del mondo.

@CDFU/John Bosco Mukura

Margaret sta operando proprio nel suo villaggio, Luchengenge, situato nel distretto di Amudat, nella parte orientale dell’Uganda, per testimoniare la sua drammatica esperienza e confrontarsi con tutti i membri della sua comunità (non solo bambine, ragazze e donne, ma anche uomini) per convincerli ad aderire alla campagna di “tolleranza zero” nei confronti delle Mgf. Per abolire una volta per tutte le Mgf, è necessaria una efficace politica di educazione, informazione e responsabilizzazione, che aumenti il grado di consapevolezza tra la popolazione locale sull’inutilità e sui gravi rischi di tali pratiche.

La testimonianza di Margaret

In un’intervista rilasciata nell’ambito della Spotlight Initiative, la donna spiega che lei stessa da bambina, a 13 anni, ha subìto, come avvenuto al 95% delle donne della sua comunità, questa pratica crudele, che le ha causato problemi di salute, non solo sessuale ma anche psicologica, sia di breve che lungo periodo.

Dopo due anni è stata costretta a sposare un uomo e a vivere con la famiglia del marito. A due anni dal matrimonio, è rimasta incinta, ma la mutilazione le ha creato seri problemi al momento del parto, aggravati dal fatto che a causa della mutilazione le hanno dovuto praticare tagli ulteriori per far passare il neonato nel canale del parto, con atroci dolori e sanguinamenti. Lei è sopravvissuta al parto, ma il neonato, purtroppo, non ce l’ha fatta.

Alcuni dati sulle Mgf

Le Mgf sono considerate come strumenti di oppressione e di violazione dei diritti delle donne. È ormai noto quanto siano fortemente invalidanti: oltre a provocare dolori cronici, sanguinamenti, infezioni urinarie e vaginali ricorrenti e incontinenza, privano la donna del piacere sessuale, possono portare a infertilità, a gravi complicazioni nel parto e, nei casi più gravi, alla morte neonatale, e favoriscono patologie come la fistola e altri disturbi ginecologici.

Diffuse in molte parti del mondo — con maggiore incidenza in alcuni paesi del continente africano o asiatico come Eritrea, Guinea, Egitto, Mali, India e Pakistan e, più in generale, nei contesti rurali caratterizzati da povertà endemica ed emarginazione sociale — queste brutali pratiche mettono a rischio la salute femminile e producono traumi psico-fisici anche permanenti, difficili da cancellare nelle bambine e nelle ragazze che vi sono sottoposte dall’infanzia all’età di 15 anni.

Nonostante la ferma condanna internazionale dell’Onu, dell’Unione Europea e dell’Unione Africana, dei 27 paesi africani in cui le mutilazioni genitali femminili sono pratiche diffuse, cinque (Liberia, Sierra Leone, Somalia, Ciad e Mali) non hanno ancora approvato una legge che criminalizzi le Mgf introducendo una nuova fattispecie di reato.

La giustificazione delle Mgf è riconducibile a fattori di natura sociale: esse infatti rientrano in un simbolico rito di passaggio che permetterebbe alla bambina di diventare finalmente donna (e sposa) ed entrare a pieno titolo nella comunità di appartenenza; pertanto, le famiglie che decidono di astenersi da questa pratica sono bersaglio di atti discriminatori legati ad un forte stigma sociale.

FGM

@Make Happiness Not Violence/Facebook page

Si stima che nel 2021, ben 4 milioni 160mila ragazze siano a rischio di subire la stessa sorte delle 200 milioni di donne che, in 30 paesi del mondo, hanno già subìto mutilazioni genitali. Anche in Italia sono presenti tra le 60mila e 80mila donne che nei loro paesi di origine hanno subìto le MGF. In Italia le Mgf sono vietate dalla legge 9 gennaio 2006, n. 7 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”, oltre che dall’art. 583-bis del codice penale.

Fonti: UN News/CDFU

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