Trovato un esopianeta gigante con un’orbita a forma di uovo mai vista prima

Un esopianeta appena scoperto ha un’orbita mai vista prima, a forma di uovo, ed è veramente enorme, con una massa pari a tre volte quella del nostro Giove.

Se fosse nel nostro sistema solare oscillerebbe tra Marte e Nettuno: l’esopianeta appena scoperto dagli astronomi, chiamato HR 5183 b, ha un’orbita mai vista prima, a forma di uovo, ed è veramente enorme, con una massa pari a tre volte quella del nostro Giove. L’eccezionale scoperta arriva dal California Institute of Technology (Usa).

Non  è in realtà il primo pianeta gigante con orbita particolarmente ellittica, ma questo si trova ai confini del suo sistema stellare, “appena” fuori dal nostro, e comunque compie un percorso veramente bizzarro. Normalmente, infatti, o meglio come finora si era visto, i pianeti molto lontani dalla loro stella tendono ad avere orbite molto meno ellittiche, quasi circolari. HR 5183 b è veramente una sorpresa.

Il corpo celeste è stato individuato usando il metodo della velocità radiale, una tecnica ampiamente consolidata per scovare esopianeti, che si basa su un fenomeno fisico noto come Effetto Doppler: quando una sorgente di onde si muove rispetto all’osservatore cambia la frequenza di tali onde.

Lo sperimentiamo continuamente, per esempio quando sentiamo che si avvicina (o si allontana) un’ambulanza o un’auto della polizia che ha attivato la sirena. Il suono non solo si sente più o meno forte in base alla distanza da noi, ma anche con un timbro differente. Ecco, questo non succede solo alle onde sonore, ma anche a quelle di altro tipo.

Così lo spettro di emissione, ovvero la gamma di frequenze emesse, di una stella attorno alla quale ruota un pianeta non è quello che si avrebbe in quiete in laboratorio, ma risulta spostato verso il rosso (frequenze più basse) se si sperimenta una velocità negativa (allontanamento) o verso il blu (frequenze più alte) se abbiamo una velocità positiva (avvicinamento).

Tecnica molto consolidata, tuttavia le analisi di questi dati di solito richiedono osservazioni prese durante l’intero periodo orbitale di un pianeta, e per quelli che orbitano lontano dalle loro stelle tutto ciò può essere difficile, perché un’orbita completa può richiedere decine o addirittura centinaia di anni.

Ed è qui che è entrata in gioco la sua orbita proprio bizzarra. Gli astronomi infatti osservavano la stella, chiamata HR 5183, dagli anni ’90, ma non avevano dati corrispondenti a un’orbita completa del pianeta.

Questo trascorre la maggior parte del tempo a vagare nella parte esterna del sistema planetario con questa orbita altamente eccentricaspiega in particolare Andrew W. Howard, che ha guidato lo studio – quindi inizia ad accelerare e compie attorno alla sua stella una fionda, di cui abbiamo osservato il movimento. Abbiamo visto il pianeta entrare, mentre ora lo vediamo uscire. Si genera una firma così distintiva da essere sicuri che questo sia un pianeta reale, anche se non abbiamo tracciato un’orbita completa”.

Oltre a dimostrare che la tecnica della velocità radiale può essere usata anche senza avere un’orbita completa (quindi con tempi più brevi), la ricerca dimostra quanto ancora poco sappiamo di tutto quello che avviene fuori dal nostro sistema solare e quanto le teorie sull’origine del cosmo possano essere messe in discussione. Un pianeta come questo, infatti, potrebbe avere avuto vita in modo differente da quanto finora “stabilito” sull’origine dei pianeti.

Si ritiene infatti che i pianeti siano nati da materiale lasciato dopo la formazione delle stelle, il che implica orbite piane e circolari, almeno all’inizio. Perché il pianeta appena scoperto si trova su un’orbita così eccentrica, deve aver ricevuto un impulso gravitazionale da qualche altro oggetto, forse un altro pianeta di dimensioni simili che l’ha spinto fuori dal sistema stellare, costringendolo in un’orbita altamente eccentrica.

Un’ipotesi tutta da verificare, ma soprattutto che spinge gli scienziati a rivedere alcune posizioni date per certe.

Il lavoro è stato accettato per la pubblicazione su The Astronomical Journal.

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook