Trovato nella Via Lattea un buco nero che non dovrebbe esistere

Non doveva essere lì e invece c’è, con una massa pari a 70 soli: il più grande e “impossibile” buco nero è stato appena trovato nella Via Lattea da un gruppo di astronomi guidati dal National Astronomical Observatory of China della Chinese Academy of Sciences (NAOC). Il “mostro cosmico” è a 15.000 anni luce da noi ed è stato battezzato LB-1

Non doveva essere lì e invece c’è, con una massa pari a 70 soli: il più grande e “impossibile” buco nero è stato appena trovato nella Via Lattea da un gruppo di astronomi guidati dal National Astronomical Observatory of China della Chinese Academy of Sciences (NAOC). Il “mostro cosmico” è a 15.000 anni luce da noi ed è stato battezzato LB-1.

Si stima che la nostra galassia, la Via Lattea, contenga 1 miliardo e 700 milioni di stelle, ma anche 100 milioni di buchi neri, corpi formati dal collasso di stelle massicce dai quali anche la luce non può sfuggire. Fino ad ora, gli scienziati non ne avevano mai trovato uno di massa superiore a 20 soli. La scoperta di un enorme buco nero pari a 70 volte la nostra stella ha rovesciato questa ipotesi.

Ma come è possibile che un oggetto cosmico così enorme non sia mai stato trovato prima? Gli scienziati spiegano che fino a pochi anni fa i buchi neri potevano essere scoperti solo quando divoravano gas da una stella compagna (in qualche caso “mangiando” la stella). Questo processo crea infatti potenti emissioni di raggi X che arrivano qui sulla Terra e che rivelano la presenza dell’oggetto collassato.

Purtroppo (o per fortuna) la stragrande maggioranza dei buchi neri nella nostra Galassia non è impegnata in simili “banchetti” e quindi non emette raggi X in grado di arrivare qui da noi. Di conseguenza, appena due dozzine circa di “nostri” buchi neri sono stati ben identificati e misurati.

Per ovviare a questo limite, il team di ricercatori della NAOC ha esaminato il cielo con il China’s Large Sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope[ (LAMOST), alla ricerca di stelle che orbitano attorno a un oggetto invisibile, attratte dalla sua gravità. Questa tecnica osservativa non è in realtà nuova, perché fu proposta per la prima volta John Michell nel 1783, ma è diventata possibile solo con il progresso tecnologico di telescopi e rivelatori.

Tra l’altro, una tale ricerca è ‘come cercare un ago in un pagliaio’, perchè solo una stella su mille può essere intorno a un buco nero. Ma è andata bene: dopo la scoperta iniziale, i telescopi ottici più grandi del mondo, il Gran Telescopio Canarias (Canarie) e i telescopi Keck (Usa) sono stati usati per determinare i parametri fisici del sistema. Con risultati incredibili nel vero senso della parola: una stella otto volte più pesante del Sole è stata vista orbitare con periodo di 79 giorni attorno a un buco nero pari a 70 soli.

“Secondo la maggior parte degli attuali modelli di evoluzione stellare, i buchi neri di tale massa non dovrebbero nemmeno esistere nella nostra Galassia – spiega Jifeng Liu, che ha guidato la ricerca – Stelle molto grandi con la composizione chimica tipica della nostra Galassia dovrebbero versare la maggior parte del loro gas in potenti venti stellari mentre si avvicinano alla fine della loro vita. Pertanto, non dovrebbero lasciarsi alle spalle un residuo così massiccio. LB-1 è due volte più massiccio di quello che ritenevamo possibile. Ora i teorici dovranno affrontare la sfida di spiegarne la formazione”.

Eh sì, ora la palla torna ai teorici dell’evoluzione perché questa scoperta non è solo una curiosità: apre le porte a nuove ipotesi sulla nascita e lo sviluppo del cosmo.

“Questa scoperta ci costringe a riesaminare i nostri modelli di come si formano i buchi neri di massa stellare – conferma a questo proposito David Reitze, dell’Università della Florida negli Stati Uniti, non coinvolto nello studio – Questo straordinario risultato […] punta davvero a una rinascita nella nostra comprensione dell’astrofisica del buco nero”.

Il lavoro, al quale hanno partecipato scienziati di Cina, Stati Uniti, Spagna, Australia, Italia, Polonia e Paesi Bassi, è stato pubblicato su Nature.

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Foto: Jingchuan YU, Beijing Planetarium

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