Pallavolista “colpevole” di essere incinta e citata per danni: i diritti da sempre negati alle donne atlete

In queste ore sta facendo discutere il caso di Lara Lugli, la pallavolista denunciata per danni dalla sua società sportiva perché incinta

Nel 2021 sognare la maternità, avere un figlio è una colpa. Lo è ancor più se si è un’atleta. In queste ore sta facendo discutere il caso di Lara Lugli, la pallavolista denunciata per danni dalla sua società sportiva perché incinta. Un fatto che ha indignato l’Italia ma che purtroppo è solo l’ultimo di tanti.

Nel mondo dello sport e in generale in quello lavorativo, la maternità è un limite, un danno economico. Lo ha riportato all’attenzione la vicenda di Lara ma purtroppo è un fatto sistematico, come ha evidenziato anche Assist, l’Associazione Nazionale Atlete.

La vicenda

Lara è una donna, una stella del volley che ha militato in A1 e A2. La schiacciatrice nel 2018-19, all’età di 38 anni, gioca nel Pordenone in B-1. Racconta in un post su Facebook che il 10 marzo scopre di essere incinta e lo comunica alla Società. Come purtroppo accade nel mondo dello sport femminile, il contratto si risolve. Un mese dopo Lara perde il bambino per un aborto spontaneo.

“A distanza di due anni, vengo citata dalla stessa Società per DANNI, in risposta al decreto ingiuntivo dove chiedevo il mio ultimo stipendio di Febbraio (per il quale avevo interamente lavorato e prestato la mia attività senza riserve). Le accuse sono che al momento della stipula del contratto avevo ormai 38 anni (povera vecchia signora) e data l’ormai veneranda età dovevo in Primis informare la società di un eventuale mio desiderio di gravidanza, che la mia richiesta contrattuale era esorbitante in termini di mercato e che dalla mia dipartita il campionato è andato in scatafascio”.

La risposta della società è dunque un atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, in cui Lara viene denunciata per i danni subiti dalla società. Citazione in cui, si accusa la donna di “aver taciuto al momento della trattativa contrattuale la sua intenzione di avere dei figli” e di aver puntato “ad un ingaggio sproporzionato “vendendo” la sua età e la sua esperienza”, sottolineando il danno arrecato alla società “tanto più che la sig.ra Lugli avrebbe potuto rientrare e completare gli ultimi due mesi di campionato anche dalla panchina”.

“Il fatto grave comunque rimane perché anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazione, perché una donna se rimane incinta non può conferire un DANNO a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo” conclude l’atleta.

E’ solo la punta dell’iceberg

La storia di Lara ha destato l’indignazione di tutti e sta accendendo i riflettori su un fatto che purtroppo le atlete vivono da tempo sulla loro pelle. Non esiste parità di genere: l’essere donna è un limite, ancor più quando si desidera essere madre.

Lo sottolinea anche Assist, l’Associazione Nazionale Atlete che scriverà al Presidente del Consiglio, Mario Draghi e al Presidente del CONI, Giovanni Malagó, per chiedere che cosa intendano fare per mettere fine alla vergognosa situazione per la quale le donne italiane, non avendo di fatto accesso alla legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a casi clamorosi come quello di Lara Lugli:

“La società sportiva con cui giocava a pallavolo in serie B1 nella stagione 2018-2019 le ha chiesto giudizialmente i danni per essere rimasta incinta, accusandola di aver sottaciuto al momento dell’ingaggio della propria intenzione di avere figli e quindi di aver violato la buona fede contrattuale. Il suo contratto prevedeva la risoluzione del rapporto per giusta causa “per comprovata gravidanza”. Questo caso è emblematico perché l’iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola a un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia. In questa spregiudicata iniziativa si annida il vero scandalo culturale del nostro Paese, che è giunto al punto da obnubilare la coscienza dei datori di lavoro sportivi, fino a dimenticare cosa siano i diritti fondamentali delle persone”.

Contratti “strappati” se arriva un figlio

A venire calpestato, non è solo il diritto delle atlete a diventare madri e a dover pagare per questo. Vengono meno anche i loro diritti di lavoratrici.

“Questo caso – dichiara la presidente di Assist Luisa Garribba Rizzitelli – non solo non è unico e non riguarda certo solo il volley, ma evidenzia una pratica abituale quanto esecrabile e indegna, denunciata da 21 anni dalla nostra Associazione. In forza di questa consuetudine le atlete degli sport di squadra o individuali, non appena incinte, si vedono stracciare i loro contratti, rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela. Ciò anche quando non vi sia in presenza di una esplicita clausola anti maternità che, prima delle denunce di Assist, era la norma nelle scritture private tra atlete e club. Pur avendo ottenuto due anni fa un piccolo intervento a supporto delle atlete, con l’istituzione del Fondo per la maternità (mille euro per 10 mesi), la realtà mostra con violenta evidenza che, non esistendo il diritto a vedere riconosciuto il lavoro sportivo, se non esclusivamente quando accordato in modo unilaterale dai datori di lavoro (Club e Federazioni sportive, come ancora recita la Riforma), nei fatti le atlete (di tutti gli sport) e gli atleti delle discipline ancora non professionistiche, sono condannati a rapporti di lavoro nero e alla complicità forzata in una logica di economia sommersa”.

L’Associazione ha chiesto un incontro con il Presidente del Consiglio Draghi e con Malagò

“affinché questi deprecabili cortocircuiti nello sport italiano, di cui tutti e tutte sono a conoscenza, siano una volta per tutta affrontati e risolti”.

Per questo Assist rilancerà una petizione sulla Change.org per la quale erano state già raccolte oltre 25mila firme contro il professionismo negato alle donne. Qui la petizione.

Fa quasi sorridere l’augurio inviato proprio due giorni fa, in occasione della Giornata Internazionale della donna dalla Lega Volley Serie A femminile:

“In un momento così difficile la Società augura a tutte le sue ragazze di vivere questa giornata nel miglior modo possibile. Guardiamo al futuro con fiducia dedicando a loro un pensiero di Oscar Wilde:”Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto”.

Se solo fossero garantite loro le occasioni adeguate. Basterebbe tutelare i diritti fondamentali….

Fonti di riferimento: Assist/Facebook, LEGA Volley, Facebook/LaraLugli

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