Sei davvero felice? 4 domande che dovresti porti più spesso per capirlo (e 6 risposte che potrebbero aiutarti)

La felicità è un concetto vago e uno stato mentale carico di aspettative, come aumentare la propria iniziando a farsi qualche domanda

La felicità non è certo, per così dire, una “questione di lana caprina”: quando caratterizza la nostra vita migliora non solo il nostro stato di salute e quello psicologico ma può persino cambiare, in meglio, il nostro patrimonio genetico.

Uno studio del 2013 guidato da Fredrickson ha esaminato l’espressione genica delle cellule che ci difendono dalle patologie infettive e ha rilevato che, nelle persone che sperimentano elevati livelli di felicità, vi è una forte espressione di anticorpi e geni antivirali. Viva la felicità, allora.

Ma esiste una ricetta perfetta per diventare davvero e profondamente felici? Onestamente, no.

Però cominciare a farsi alcune domande può aiutare a trovare la giusta personale direzione per la felicità. Quindi, per chi vuole, foglio bianco, penna e via: si comincia.

Cosa intendo, io, per “felicità”?

Ognuno ha la propria personale idea, il proprio concetto di “felicità” che, ovviamente, può cambiare nel tempo e prevedere numerose varianti e sfumature.

Da chi o cosa dipende la mia felicità?

È importante fare il punto, capire quali sono le immagini e i ricordi che ci guidano, in rapporto alla felicità, rispondendo a queste sotto-domande:

  1. sarei felice se, se, se…
  2. sono stata/o felice perché, quando, come…
  3. la mia felicità dipende da…
  4. la mia infelicità dipende da..

In questo momento quanto mi sento felice?

L’ideale sarebbe organizzarsi con un orologio, impostando la sveglia perché suoni ogni due-tre ore; quando suona, qualunque cosa si stia facendo, fermarsi un attimo e portare l’attenzione cosciente sulla propria sensazione di benessere: quanto mi sento felice, ora? E a cosa attribuisco questo mio stato/sensazione?

Cosa posso fare, ora, per migliorare?

La domanda richiede di mettersi in ascolto e permette di prendere contatto in modo più consapevole sia con le nostre fantasie, proiezioni, desiderata che con le nostre risorse, capacità di analisi e poi volontà di azione mirata.

Rispondendo a queste domande nell’arco di una giornata (e magari ripetendo l’esercizio per più giorni di una settimana) avremo, nero su bianco, una sorta di fotografia che parla di noi e che, rivista con un po’ di distanza, potrebbe essere sorprendente, fornirci nuovi spunti di riflessione e considerazione e rappresentare, in ogni caso, la nostra mappa: il punto di partenza. Verso una nuova dimensione di felicità, ancora da integrare.

Quali sono i 3 tipi di felicità?

Ma rispondiamo anche noi, alle sollecitazioni fatte sopra. Cosa si può dire della felicità? Secondo lo psicologo e ricercatore ad Harvard, Daniel Gilbert, ne esistono tre tipi:

  • emotiva corrisponde ad una sensazione, uno stato soggettivo positivo transitorio determinato da qualcosa presente nel mondo reale. (A ben vedere, però, noi in più possiamo distinguerne due espressioni: c’è quella strettamente collegata ad un evento, un piacere, un desiderio materiale realizzato – più vivida, breve, elettrizzante: come la felicità per una vittoria o un acquisto ben riuscito – ed un’altra che tocca corde più intime, profonde, meno appariscenti – come la felicità sottile che si muove guardando il mare oppure immersi nel verde di una bella passeggiata in montagna);
  • morale: determinata dal nostro modo di guardare e stare al mondo; chi conduce una vita onesta e perbene ed è consapevole del significato etico delle proprie azioni, si sente profondamente soddisfatto e contento (almeno per sè);
  • legata al giudizio: quando si ipotizza che una o più situazioni possano dare, di per se stesse, la felicità.

Secondo la Psicologia Positiva possiamo leggere la questione da due differenti prospettive: quella edonica (la felicità data da uno stato di appagamento, dovuto al soddisfacimento dei desideri) e quella eudemonica: felicità come un processo di costruzione continua, di crescita che favorisce lo sviluppo individuale e l’autentica espressione della natura umana, in cui la felicità individuale si realizza nello spazio sociale. Interno ed esterno, dentro come fuori.

Da cosa dipende la felicità?

Da chi e cosa dipende, realmente, la nostra felicità? Nello studio “Happiness is a personal(ity) thing” (che si potrebbe tradurre con: la felicità è una cosa personale/che dipende dalla personalità) condotto da A. Weiss e T. C. Bates, due ricercatori dell’Università di Edimburgo, è emerso che per il 50% è condizionata dal nostro patrimonio genetico (una sorta di attitudine che riceviamo in dono dall’eredità familiare: un bel talento spontaneo da mettere a frutto oppure un elemento da trasmutare, come piombo in oro), per un 10% (massimo) da fattori endogeni come la disponibilità economica, lo status sociale e altri “benefit” vari. Infine: per il 40% dipende più direttamente da noi.

Riassumendo: in un modo o nell’altro, la felicità è in ogni caso nelle nostre mani. Nella sua Religio Medici, Thomas Browne, medico e scienziato ma anche homo religiosus, capace di riconoscere e venerare il mistero là dove è – siamo nel 1642 – afferma: “Sono l’uomo più felice; ho qualcosa in me che può convertire povertà in ricchezza, avversità in prosperità e sono più invulnerabile di Achille”.

Come scoprire di esser felici?

Uno dei modi più semplici (e per questo, per noi, più difficili) è stare nella bellezza del presente, essere grati per quello che c’è anziché “bramare” (che è diverso dal muoversi in modo costruttivo e orientato verso degli obiettivi) quello che non c’è o che forse si potrebbe avere, anziché perdersi dietro l’idea di una possibilità che non si è colta. Potrebbe sembrare strano ma la apparente o reale libertà di scelta tra diverse opzioni – ha spiegato Daniel Gilbert in uno suo intervento al TED – è una nemica della felicità perché ci mette sempre nell’idea che ci potrebbero essere scenari migliori per noi (dunque ci può porre in una situazione di “mancanza”, di insoddisfazione) mentre “il nostro “sistema immunitario psicologico” ci permette di sentirci davvero felici anche quando le cose non vanno come avevamo programmato”.

Tradotto: se, consapevolmente, proviamo a lasciarci alle spalle le nostre proiezioni e a non dar peso a quelle che pensiamo siano mancanze, possiamo scoprire di essere felici, di stare bene. Riusciamo a vedere la ricchezza di doni che diamo per scontati.

Si può aumentare il livello di felicità?

Poi, naturalmente, possiamo anche scegliere comportamenti che vanno ad approfondire il nostro benessere, ad aumentare il nostro livello di felicità. Per chi volesse anche la conferma dalla scienza (basterebbe, in realtà, guardare la vita), ecco qui pronto un elenco non esaustivo di situazioni, azioni, scelte che faranno stare meglio, che di sicuro sono in grado di aumentare qualità e quantità di felicità: essere attivi e tenersi occupati, ampliare le proprie relazioni sociali, impegnarsi nella vita di comunità, svolgere attività che abbiano per noi un significato, dedicarsi a hobby e passioni, vivere nel qui ed ora del presente anziché proiettarsi tra passato e futuro, costruire rapporti intimi – di vicinanza affettiva – significativi (è uno dei fattori più importanti, per la felicità!), lavorare sui propri pensieri negativi e sul “rimuginio” interno, coltivare la gratitudine, condividere esperienze, sviluppare la capacità di perdono, trovare il proprio scopo di vita, riscoprire i piccoli piaceri quotidiani, lasciarsi assorbire dall’attività che svolgiamo, imparare a vedere il positivo in ogni evento, essere più generosi e godere di ciò che si ha proprio mentre lo si ha.

La felicità è una meta?

La felicità autentica è un percorso, mai una meta.

Infine, va pure detto: la ricerca della felicità non deve diventare un’ossessione. Non solo perché non siamo nati “per essere felici” (quantomeno da un punto di vista spirituale, lo scopo principale della nostra vita, è accrescere, attraverso l’esperienza, la nostra capacità di amare in modo autentico e così impegnarci in azioni costruttive, contribuendo a determinare un mondo – interiore ed esteriore – migliore per noi e per tutti: che poi, a ben vedere, è il cuore della felicità più profonda) ma pure perché, desiderata e agognata, idealizzata – come ha ricordato Daniel Gilbert – la felicità assumerebbe la forma di un miraggio sempre lontano, mai raggiunto o non facilmente raggiungibile, e in quella tensione verso il nulla non riusciremmo neppure a vedere e godere delle tante opportunità di felicità e gratitudine che la vita, ogni giorno, mette sul nostro cammino.

Cos’altro posso fare?

Prova a leggere uno di questi articoli per trovare le risposte alle tue domande sulla ricerca della felicità:

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