Carne o non carne? L’Italia al centro della tempesta sul “Meat Sounding” dei prodotti a base vegetale

La controversa normativa sul "meat sounding" in Italia, che vieta l'uso di termini associati generalmente alla carne per descrivere prodotti vegetali, rischia di mettere in ginocchio le aziende che offrono alternative vegane

In questi ultimi mesi si discute spesso del “meat sounding” che, per chi non ne avesse ancora sentito parlare, è un termine che si riferisce all’uso di parole o denominazioni tradizionalmente associate alla carne nella descrizione di prodotti a base vegetale.

Il confronto su questo tema si fa sempre più acceso e coinvolge non solo il Ministero dell’Agricoltura, ma anche un vasto fronte di consumatori (vegani, vegetariani e sostenitori di una dieta più sostenibile) oltre che, inevitabilmente, le aziende che producono i prodotti interessati dalla nuova normativa. Perché sì, esiste una recente normativa in merito.

Facciamo riferimento alla legge 172/2023 che, in Italia, vieta non solo la carne coltivata ma anche l’uso di termini come “hamburger di soia” o “bistecca di tofu” nelle etichette dei prodotti vegetali. Proprio questa ha scatenato un acceso dibattito. Secondo il promotore della norma, il leghista Gian Marco Centinaio, tale misura è necessaria per proteggere i consumatori da informazioni fuorvianti.

Ma ovviamente non tutti sono d’accordo e c’è chi teme che questo cambiamento avrà pesanti ripercussioni sul settore delle alternative vegetali alla carne. Le critiche provengono da diversi attori del comparto agroalimentare, compresa l’Unione Italiana Food, che rappresenta 550 aziende di settore.

Secondo Massimo Santinelli, fondatore di Biolab, azienda specializzata in alimenti biologici a base vegetale, la legge rischia di danneggiare le imprese vegane e di frenare una tendenza di crescita evidente nel settore. Ha infatti dichiarato che la legge rischia di:

Danneggiare molte aziende di produzione vegana, con relativi impatti negativi in termini di occupazione e indotto. Favorisce invece altri settori merceologici più tradizionali nonostante la tendenza della categoria vegana sia oggettivamente in forte crescita da diversi anni e la domanda di prodotti plant based sia sempre più diffusa tra i consumatori italiani.

I dati elaborati dal Good Food Institute, confermano infatti un crescente interesse per i prodotti a base vegetale in Italia, che rappresenta il terzo mercato più grande d’Europa per tali prodotti. La carne vegetale ha registrato un aumento significativo delle vendite, segnalando un cambiamento nelle abitudini alimentari degli italiani, spinti anche dalle raccomandazioni di ridurre il consumo di carne per affrontare la crisi climatica.

Pensate che, in soli due anni, ci spiega, il settore dei prodotti a base vegetale è cresciuto del 40%.

 La carne vegetale, nello specifico, ha visto una vera e propria impennata, con un aumento delle vendite dal 2020 al 2022 del 40% e con un valore di mercato di 168,4 milioni di euro.

Tuttavia, l’emendamento rischia di rovinare un intero settore e viene contestato da chi lo considera solo un modo per proteggere la lobby della carne industriale. C’è chi ritiene che la norma sia addirittura incompatibile con i regolamenti europei e possa danneggiare le imprese, senza apportare benefici significativi ai consumatori.

La situazione si complica ulteriormente in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia Europea su una disposizione analoga adottata in Francia (anche i nostri cugini d’oltralpe, infatti, si sono scagliati contro il “meat sounding”). Nel frattempo, le imprese devono affrontare costi di rebranding e l’incertezza legale.

Nel contesto del dibattito sul “meat sounding”, si osserva un significativo interesse a livello internazionale. Nell’agosto del 2021 è stato lanciato il Plant Based Treaty, un trattato sui prodotti a base vegetale, che ha raccolto l’adesione di diverse amministrazioni comunali in tutto il mondo. A supporto di questo trattato si sono schierati più di 135.000 sostenitori individuali, cinque premi Nobel, scienziati dell’IPCC, oltre a oltre 1.000 ONG, gruppi comunitari e aziende.

Tuttavia, esiste un fronte opposto rappresentato da coloro che difendono a spada tratta l’industria della carne, una posizione condivisa anche dall’Italia.

La questione è complessa, poiché nonostante l’aumento dei consumatori vegani e vegetariani (e relativo aumento dei prodotti a loro dedicati), anche la produzione e il consumo di carne continuano a crescere in modo significativo. Dal 1960, la produzione di carne è aumentata quasi cinque volte, passando da 70 milioni di tonnellate a quasi 330 milioni nel 2017.

Questo aumento è in gran parte attribuibile alle migliori condizioni economiche di alcuni paesi, come la Cina, dove il consumo pro capite è aumentato da meno di 5 kg negli anni ’60 ai 60 kg di oggi. Gli Stati Uniti rimangono in cima alla classifica, con una media di consumo pro capite di 140 kg all’anno.

Ma, come è ormai noto, l’impatto ambientale della tradizionale carne è molto alto. Biolab ricorda che per produrre un chilo di carne bovina, sono necessari ben 15.000 litri d’acqua, rispetto ai soli 1.600 litri richiesti per un chilo di alimenti di origine vegetale.

Non vuoi perdere le nostre notizie?

Leggi anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook