Roby il pettirosso, intervista all’illustratore che dà voce agli emarginati e agli sconfitti

Scopriamo chi è Ernesto Anderle, meglio conosciuto come "Roby il pettirosso", e la sua meravigliosa arte popolata di grandi personaggi di oggi e di ieri, a partire da Van Gogh e Fabrizio De André

La sua principale fonte di ispirazione è la vita stessa, in particolare il periodo dell’infanzia al quale rivela di essere molto legato. Ma anche la musica, soprattutto quella dei cantautori, a partire da Fabrizio De André, a cui ha dedicato il meraviglioso libro illustrato “Ridammi la mano”.

Lui è Ernesto Anderle, meglio conosciuto come “Roby il pettirosso”, illustratore, pittore, scultore nato a Milano nel 1984, città che ha lasciato per trasferirsi in un paesino di montagna. Una scelta di vita che, definisce, la cosa più giusta e sensata che abbia mai fatto.

Nel 2016 disegna per la prima volta un pettirosso che fa spesso visita al suo giardino, lo chiama Roby e così, senza pensarci, apre la seguitissima pagina Facebook “Roby il pettirosso”, dove condivide poetiche illustrazioni dedicate a personaggi di oggi e di ieri, da Gino Strada a Lucio Dalla, da Alda Merini a Ida Bauer, accompagnati da significative citazioni.

Poi è il momento di  “Vincent Van Love“, pagina Facebook (e Instagram) dove illustra i pensieri di Vincent van Gogh, tratti dalla ricca corrispondenza epistolare dell’artista col fratello Theo, fonte di ispirazione per il libro omonimo pubblicato da BeccoGiallo.

Nel 2020 pubblica anche “Murubutu. Rapconti illustrati”, illustrando magistralmente le canzoni del famoso rapper. Sempre sue sono le bellissime illustrazioni del libro “Raffaello”, biografia  che ne ripercorre la vita e le opere, e quelle di “Casanova”. Nel 2021 è il momento di “Hedera” e “Dante a tempo di Rap”.

Davvero un artista a tutto tondo, poliedrico e delicato, che abbiamo deciso di intervistare per portarvi nel suo magico mondo.

Chi è Roby il pettirosso, dove e quando nasce? Perché hai scelto questo nome?

Roby è un pettirosso che vedo spesso in giardino, durante le giornate invernali, dalla finestra dello studio. L’ho disegnato per la prima volta un 23 dicembre di qualche anno fa e l’ho chiamato Roby, così, senza pensarci. La sera stessa ho aperto la pagina. Il pettirosso ci tiene compagnia durante l’inverno, fino all’arrivo della primavera, per questo motivo simboleggia in qualche modo la rinascita.

Che sai dirci su Vincent Van Love, l’altra pagina che gestisci? Perché hai scelto di dedicarla totalmente a Van Gogh?

Vincent van Love è un luogo dove illustro alcuni pensieri di Vincent van Gogh tratti dal rapporto epistolare che aveva col fratello Theo. Viviamo in una società che non permette errori o difetti,  quindi  tendiamo spesso a nasconderli, coprirli con filtri. È  vietato fallire e questo genera ansia. Van Gogh invece mi rilassa, perché lui non ha nascosto i suoi difetti, ma  ne ha fatto una forza. Quando ho letto le lettere che scriveva al fratello, ho capito che non era pazzo, ma carico d’amore per la gente, per la natura, per la vita. Aveva un mare d’amore da dare, ma nessuno lo voleva ricevere, così lo ha riversato su tela.

Qual è il tuo processo creativo e quali sono le tue principali fonti di ispirazione?

La principale fonte è certamente la mia vita, in particolare il periodo dell’infanzia, al quale sono molto legato. Ogni cosa può generare idee, soprattutto la musica. Quando mi emoziono per qualcosa, poi sento la necessità di disegnarla come un atto celebrativo o di liberazione.

Con la tua arte quali messaggi vuoi trasmettere?

Non penso a cosa trasmettere, quello viene da sé,  penso solo a tradurre le emozioni che provo nella maniera più sincera possibile.

Hai una grande passione per Fabrizio De André e altri cantautori. Cosa hai imparato da loro? E quanto la musica influenza la tua arte?

De André è stato un punto di riferimento molto forte per me, soprattutto quando avevo 18 anni e mio padre se ne era andato da poco. I cantautori in generale, mi hanno aiutato ad orientarmi in un mondo che è come un mare aperto. Ancora oggi la musica è  per me una bussola, sia nel reale  quotidiano, sia quando  navigo con la fantasia.

Hai affermato di avere un debole per chi sta dalla parte degli emarginati e degli sconfitti. Cosa ti affascina di questi personaggi?

Essendo una persona creativa, ho una grande sensibilità, e sarebbe un peso insostenibile se non facessi arte. Nutro profonda ammirazione per chi si dedica agli ultimi, a chi non ce l’ha fatta, perché tutti hanno un valore, un qualcosa che gli brilla dentro e più hai sofferto e più brilla.

Ti sei trasferito dalla città (dove sei nato) alla montagna, perché hai fatto questa scelta di vita? Ti ha cambiato? E in che modo vivere in montagna ha influenzato la tua arte?

Andarmene da Milano per vivere in un paese di montagna è stata la cosa più  giusta e sensata che abbia mai fatto. All’inizio è  stato come tornare bambino, e lo è tutt’ora perché ogni giorno è una sorpresa,  un regalo che la natura ti offre. Ovviamente l’arte ne ha giovato, dato che a Milano facevo cose cupe in bianco e nero, mentre qui ho riscoperto il colore grazie ai colori nei quali vivo.

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