L'attore australiano consiglia di non dare mai il massimo sul lavoro per mantenere un atteggiamento rilassato e non stressato
Impegnarsi sempre, ma non al massimo: questa è la “regola d’oro” di Hugh Jackman per riuscire a essere efficiente e produttivo senza rischiare di finire in bornout.
L’attore lo ha rivelato in un episodio del podcast “The Tim Ferriss Show” in cui ha spiegato come cerca di mettere in pratica questa regola in ogni aspetto della sua carriera e della sua vita.
La regola dell’85%
Nel podcast, l’attore australiano porta come esempio l’allenamento degli atleti professionisti: se, durante l’allenamento, gli atleti di performano all’85% della capacità anziché al 100%, otterranno risultati migliori perché avvertiranno meno la pressione di dover dare il massimo.
Lui stesso, come molti attori, deve adattarsi alle esigenze fisiche dei diversi ruoli che interpreta e si sottopone a sessioni di allenamento dure e impegnative, ma senza mai perdere quella calma e quella rilassatezza che, spiega, derivano dalla consapevolezza di non stare dando il 100% delle proprie energie.
Lasciando stare l’allenamento atletico e pensando al nostro lavoro quotidiano, come possiamo immaginare di riuscire a dare sempre il massimo in ogni contesto e attività senza rischiare, prima o poi, di precipitare in una fase di profonda stanchezza.
Possiamo schiacciare il piede sull’acceleratore e dare il 100% per un breve periodo, o anche superare i nostri limiti per raggiungere il nostro obiettivo, ma non possiamo pensare di lavorare così ogni giorno.
Parlando con il suo intervistatore, Jackman sostiene che tenersi sempre vicini al 100% delle prestazioni quando si lavora provoca effetti collaterali quali ansia, stress, nervosismo e quella spiacevole sensazione di sentirsi costantemente “sotto pressione”.
Ma non solo: cercare di dare sempre il massimo sul lavoro potrebbe addirittura essere controproducente, perché l’assenza di un giusto compromesso fra lavoro e relax ci porta a essere meno reattivi e produttivi in merito a ciò che stiamo facendo.
Che tu stia lanciando un’idea, presentando un progetto, incontrando un cliente o mettendo insieme un rapporto finanziario, i risultati che ottieni quando spendi il 100% delle tue energie in queste attività di solito non sono ottimali – spiega l’attore.
Al contrario, puntare su un dispendio energetico inferiore – l’85%, appunto – ci garantisce livelli di stress e stanchezza più bassi e ci assicura una maggiore produttività nel lungo periodo.
La nostra percezione di non stare dando il massimo in ciò che stiamo facendo è la chiave per una gestione più sana del lavoro e di ciò che da esso deriva in termini di emozioni, tensione e stress.
L’importanza del “duro” lavoro
Ma quanto conta il lavoro nella nostra vita? Un sondaggio dal significativo titolo “Cosa pensa il mondo del lavoro”, condotto dal King’s College di Londra e recentemente pubblicato, ha provato a rispondere a questo interrogativo, raccogliendo opinioni discordanti sul tema.
Fra le 24 nazionalità coinvolte nello studio, i britannici sono quelli meno inclini a considerate il lavoro come la cosa più importante della propria vita (gli italiani sono al sesto posto della classifica di chi considera il lavoro la priorità nella propria vita).
Il sondaggio ha puntato i riflettori anche su altre questioni, come per esempio sull’assenza di lavoro come anticamera di un atteggiamento pigro e scansafatiche, o la necessità di lavorare duramente per ottenere nel futuro una qualità della vita migliore.
I risultati generali dimostrano che il lavoro è visto ancora troppo spesso come un’attività che deve per forza essere massacrante e occupare buona parte delle nostre vite per essere degno di essere chiamato tale.
una buona fetta della popolazione mondiale ritiene necessario lavorare in turni massacranti, considerare il lavoro in cima alla lista delle priorità e privarsi di tempo da dedicare agli affetti o alle proprie passioni – alimentando il deleterio circuito del burnout.
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Fonte: The Tim Ferriss Show / King’s College London
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