Promossi i bulli che chiamavano “Ebola” la compagna di classe: le famiglie hanno rifiutato i lavori socialmente utili

La vessavano con insulti e frasi denigratorie, eppure i tre bulli di una ragazza di 13 anni sono stati tutti promossi a pieni voti e non faranno il percorso di giustizia riparativa

Se muori è lo stesso”. “Devi morire”. “Se muori non se ne accorge nessuno”. Sono queste le frasi che si sentiva dire ogni giorno una ragazzina di 13 anni, per un anno, fino a stare male. Dal 7 febbraio del 2023, poi, l’attacco alla compagna ha iniziato a diventare ancora più pesante, con frasi denigratorie e persecutorie da parte di uno studente.

Se non hai amici, fatti una domanda” si legge in uno dei messaggi. La giovane si è fatta forte e lo ha bloccato, ma il tormento non era finito lì. Anzi, da quel momento la situazione è peggiorata ulteriormente. Tutti hanno cominciato a chiamarla “Ebola”.

Angosciata dall’accaduto, la madre aveva contattato gli insegnanti e i genitori dei ragazzi fino a sporgere denuncia. Ora si è arrivati all’epilogo incredibile della vicenda: i tre bulli sono stati tutti promossi a fine anno, alcuni anche a pieni voti tranne il sei in condotta.

I ragazzi si erano giustificati sostenendo che fosse solamente un gioco

Il fatto increscioso è accaduto in una classe di terza media in provincia di Latina. Per chi perseguitava la giovane, nessuna conseguenza. Nemmeno i lavori socialmente utili e il motivo è semplice: le famiglie dei ragazzi hanno opposto resistenza rifiutando il percorso di “giustizia riparativa”.

All’epoca in cui è emersa la vicenda, gli studenti avevano cercato di giustificarsi affermando che si trattava di un “gioco”. Un “gioco” che però li aveva portati anche a creare un gruppo WhatsApp per deridere e vessare la loro compagna.

A causa del bullismo subito, la ragazza ha sofferto psicologicamente. Ha cominciato a isolarsi ed entrava a scuola in ritardo per evitare di incontrare i tre bulli che la perseguitavano. A seguito della denuncia, la polizia postale ha indagato sui tre minorenni ipotizzando reati quali istigazione al suicidio e stalking.

Niente lavori socialmente utili, le famiglie non ritengono sia necessario

La Garante per l’infanzia del Lazio, Monica Sansoni, ha tenuto incontri a scuola, coinvolgendo sia la vittima che i bulli. Queste iniziative, secondo la Procura, avevano funzionato tanto che gli inquirenti avevano richiesto al gip di archiviare l’inchiesta.

Tra le motivazioni il fatto che

grazie alla denuncia sporta e all’attivazione di opportuni interventi nell’ambito scolastico, le condotte denunciate dalla persona offesa appaiono allo stato attuale cessate e gli indagati mostrano di aver compreso gli sbagli commessi.

La Procura aveva però ritenuto comunque che fosse necessario un processo di giustizia riparativa, in cui sarebbe stato cruciale il coinvolgimento delle famiglie. Come detto, però, queste stesse hanno rifiutato di far seguire questo percorso ai figli non ritenendo neppure necessario chiedere scusa alla giovane vessata.

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