Guerra sul cioccolatino più iconico d’Italia, che cosa sta accadendo tra la Lindt e gli artigiani torinesi del Gianduiotto

Il Gianduiotto torinese, si sa, va preparato con soli tre ingredienti: nocciola, zucchero e massa di cacao. Ma il colosso svizzero chiede che nel disciplinare per il riconoscimento dell'IGP sia inserito anche il latte

Sotto un sottilissimo strato di carta dorata un golosissimo cioccolatino fatto di cioccolato e pasta di nocciole. E stop. È il gianduiotto (o giandujotto o giandojòt, come viene chiamato in piemontese), che con la sua forma inconfondibile a barca rovesciata delizia i nostri palati da quasi due secoli e ora si trova al centro di una diatriba.

Tutto ruota attorno al disciplinare che dal 2017 ha avviato l’iter per il riconoscimento dell’IGP, l’Indicazione Geografica Protetta, del cioccolatino più iconico d’Italia e che per essere approvato ha posto dei paletti rigorosi: il peso per formato, da 4 a 11 grammi, la percentuale di nocciola, 30/45% e – soprattutto – il rispetto della ricetta originale che non prevede il latte.

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Misure che non sono piaciute alla Lindt: il gruppo svizzero (che ad oggi detiene il marchio Caffarel, inventore ufficiale del cioccolatino), infatti, si oppone al riconoscimento IGP della ricetta senza latte e sta bloccando il disciplinare, per un progetto, quello del Gianduiotto Igp torinese, che tra l’altro vede il sostegno di quattro facoltà universitarie, di aziende come Ferrero e Venchi e di cioccolatieri come Guido Gobino e Guido Castagna.

Dalla gianduja al Giandojòt

La gianduia o gianduja è un tipo di impasto di cioccolato nato a Torino nel 1806 grazie ai maestri cioccolatai torinesi che, in seguito al blocco economico ordinato da Napoleone per i prodotti dell’industria britannica e delle sue colonie, ebbero l’intuizione di sostituire il cacao con la nocciola tonda delle Langhe, più economica e facile da reperire.

Il primo cioccolatino fu poi prodotto dalla famosa società dolciaria torinese Caffarel, con solo cacao, acqua, zucchero e vaniglia. Bisognerà attendere 20 anni perché il chocolatier Michele Prochet, in società con Caffarel, riuscisse a perfezionare la ricetta del gianduiotto, all’epoca chiamato “givu”, aggiungendo le nocciole tostate e macinate finemente.

Il ciocolattino incartato d’oro della Caffarel fu presentata al pubblico ai festeggiamenti del carnevale del 1865 dalla maschera torinese Gianduja che distribuiva per le strade della città questa novità di cacao, nocciole tostate e macinate, burro di cacao e zucchero. Da questo episodio e dalla maschera Gianduia, i deliziosi cioccolatini hanno preso il nome di gianduiotti.

Solo molto dopo, il cioccolato al latte nasce in Svizzera, creato da François-Louis Callier nel 1875.

Il disciplinare e cosa chiede Lindt

Come dicevamo, per essere approvato il disciplinare chiede:

  • peso per formato, da 4 a 11 grammi
  • percentuale di nocciola al 30/45%
  • rispetto della ricetta originale che non prevede il latte
  • deve essere prodotto in Piemonte

Lindt chiede invece meno nocciola (26%) e il 10% di latte. Lindt ha dalla sua il fatto che detiene il marchio Caffarel, avendola acquisita e salvandola dal fallimento. Ma non produce in Piemonte.

Come andrà a finire?

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