Basta termini arcaici per le donne: la Corte Suprema indiana pubblica uno storico manuale contro gli stereotipi

Il linguaggio offensivo e gli stereotipi sulle donne possono portare alla distorsione della legge, ecco perché (e come) il capo della giustizia indiana chiede di evitare storture e preconcetti di genere nel linguaggio giuridico

Finora si leggevano parole come seduttrice, zitella, prostituta, mentre una violenza sessuale veniva bellamente banalizzata con un desolante “presa in giro” e ci si convinceva che le donne siano “emotive”, “irrazionali” e “incapaci di prendere una decisione”.

Stop a tutti questi stereotipi, almeno ci si prova, e nell’India del 2023 la Corte Suprema pubblica l’Handbook on Combating Gender Stereotypes, un manuale per i giudici per esortarli a evitare parole e frasi di stampo chiaramente sessista e per stabilire una serie di cose da fare e da non fare nel processo decisionale e nella scrittura giudiziaria.

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Termini “arcaici” come si legge, infatti, che disprezzano le donne e perpetuano gli stereotipi di genere possono ancora essere abitualmente ascoltati nei tribunali indiani e ora la Corte suprema ha affermato che il suo Manuale sulla lotta agli stereotipi di genere mira a garantire che “il ragionamento e la scrittura legale siano privi di nozioni dannose sulle donne”.

Se i giudici fanno affidamento su stereotipi dannosi, ciò può portare a una distorsione dell’applicazione oggettiva e imparziale della legge. Ciò perpetuerà la discriminazione e l’esclusione, scrive il capo della giustizia indiana, Dhananjaya Y Chandrachud.

Il manuale

Il manuale sulla lotta agli stereotipi di genere vuole quindi aiutare i giudici a identificare un linguaggio che si allontani da idee arcaiche e errate, in particolare sulle donne, e offre parole e frasi alternative.

Diviso in tre sezioni, nella prima sono individuate alcune parole o espressioni legate al genere: invece di “adultera” meglio usare “donna che ha avuto rapporti sessuali al di fuori di matrimonio”; invece di “nata femmina” o “nato maschio” per riferirsi alle persone trans, sarebbe meglio usare “assegnata femmina alla nascita” e “assegnato maschio alla nascita”.

stereotipi india

©Supreme Court of India

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©Supreme Court of India

Inoltre, via definizioni del tipo “donna in carriera”, “donna casta”, “donna di facili costumi”, “prostituta”, “seduttrice”. Va detto semplicemente “donna”, così come una “zitella” è una “donna non sposata” e uno “stupro” è uno stupro, non uno “stupro forzato”.

Nella seconda parte, il documento mette in risalto – riportandosi ad alcune sentenze – i ragionamenti più comuni basati sugli stereotipi di genere. Per esempio, secondo il classico stereotipo, gli individui a basso reddito sarebbero più inclini a commettere nuovi reati. Si tratta di uno stereotipo dannoso e se viene assunto in tribunale può portare a danni ancora maggiori. In base a ciò, il manuale segnala tre tipologie di stereotipi di genere: quelli legati alle presunte “caratteristiche intrinseche” che apparterrebbero alle donne, quelli basati sui ruoli di genere naturalmente assegnati alle donne e quelli che hanno a che fare con il sesso, la sessualità e la violenza sessuale.

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©Supreme Court of India

Nel manuale è quindi specificato che le donne non sono “emotive”, “irrazionali” e “incapaci di prendere una decisione” e che il genere di una persona non determina la sua capacità di pensiero.

Quanto agli stereotipi sui ruoli di genere, secondo la guida si tratta di “prodotti di una determinata costruzione sociale”, mentre la terza e ultima sezione mostra le decisioni vincolanti prese nel tempo dalla Corte Suprema dell’India, nelle quali questi diversi stereotipi sono stati respinti e messi in discussione.

E in Italia?

Qui da noi il sessismo nei tribunali c’è ancora e riguarda oggi in special modo le sentenze, dove spesso ancora si legge che la vittima di femminicidio era “disinibita” o che lui “si sentiva usato” e che la cosiddetta “palpata breve” non è reato. Risale sono al 1999 la clamorosa sentenza dei jeans: non poteva essere stupro perché quei pantaloni non si possono togliere “senza la fattiva collaborazione di chi li porta“.

Va da sé, quindi, che l’Italia sia stata più volte condannata per sessismo nelle sentenze dal Comitato Cedaw dell’Onu e dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Ancora, e sempre, le motivazioni sono piene di pregiudizi sessisti ai danni delle donne, tanto da far minimizzare la violenza maschile sulle donne. Un cambio di registro urge anche qui.

QUI puoi scaricare il manuale completo.

Fonti: The Guardian / Supreme Court of India

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