Niente schwa (ə) né asterischi, l’Accademia della Crusca detta le regole dell’italiano negli atti giudiziari per la parità di genere

Ricorrere alla schwa o agli asterischi non rientra tra le regole della lingua italiana, così come non sarebbe corretto l’uso reiterativo dei plurali nei due generi (“le italiane e gli italiani” o “le lavoratrici e i lavoratori”), ma basterebbe il maschile plurale che, di fatto, corrisponde ad un neutro inclusivo di tutti i generi. Così l’Accademia della Crusca detta alcune regole sull’uso della lingua. Ma attenzione, siamo esclusivamente in un contesto giuridico

Ok a “pubblica ministera”, “presidente”, “la giudice”, “questora” o “magistrata” ma stop a schwa e ad asterischi, all’articolo davanti al nome femminile e alle duplicazioni retoriche (“i cittadini e le cittadine”, “le figlie e i figli”).

Una indicazione che arriva definitiva dalla Accademia della Crusca in risposta a una domanda arrivata dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla parità di genere nella scrittura degli atti giudiziari.

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I principi tradizionalmente invocati – si legge nella nota – per stabilire le regole o raccomandazioni per un uso della lingua rispettoso della parità di genere sono i seguenti:

1) evitare in maniera assoluta il maschile singolare perché a torto considerato non marcato (da alcuni definito inclusivo o, meno correttamente, neutro);
2) evitare l’articolo determinativo prima dei cognomi femminili, perché genera un’asimmetria con quelli maschili;
3) accordare il genere degli aggettivi con quello dei nomi che sono in maggioranza o più vicini all’aggettivo;
4) usare il genere femminile per i titoli professionali che sono riferiti a donne.

Alla base di questi assiomi sta il principio base, che consiste nella volontà di rompere qualunque eventuale asimmetria che distingua il riferimento ai due generi, maschile e femminile, intesa come discriminazione.

E allora ecco i punti principali:

Niente asterischi né schwa

È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati.

L’Accademia dunque esclude l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico («Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…» per esempio).

Stessa cosa per lo scevà o schwa, l’ǝ dell’alfabeto fonetico internazionale non presente in italiano, ma utilizzata in alcuni dialetti.

In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare.

Ugualmente si potrà usare il maschile non marcato quando ci si riferisca in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta: «Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri» (art. 89, II c., Cost.).

Vanno bene i nomi declinati al femminile

La Crusca ha stabilito che, anche nella scrittura di atti giudiziari, si potranno ora usare “senza esitazioni” termini come la pubblica ministera, la presidente, la giudice, la questora, la magistrata.

Via all’articolo davanti il nome

No a “la Meloni” ma nemmeno a “il Manzoni”.

Nell’uso generale, non solo in quello giuridico, l’omissione dell’articolo determinativo di fronte al cognome si è negli ultimi anni particolarmente diffusa, non solo nel femminile, ma anche nel maschile, che lo ammetteva, nello standard, nel caso di personaggi celebri del passato (il Manzoniil Leopardi ecc.). Oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile. Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni fondate, l’opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto. Osserviamo ancora che, nel caso in cui si ometta l’articolo con preposto al cognome di persone celebri, non si verificano controindicazioni, ma in altri casi si manifesta un’evidente perdita di informazione (“La presenza di Rossi in aula” si riferisce a un uomo o una donna?); quando sia utile dare maggiore chiarezza al genere della persona, sarà sufficiente aggiungerne il nome al cognome, o eventualmente la qualifica (“La presenza di Maria Rossi” o “La presenza della testimone Rossi”).

Evitare le reduplicazioni retoriche

La Crusca raccomanda di limitare il più possibile interventi che implichino riferimento raddoppiato ai due generi. Basta con “lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate” e simili. Per evitare questo allungamento della frase si possono scegliere altre forme neutre o generiche, per esempio sostituendo persona a uomoil personale a i dipendenti.

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Fonte: Accademia della Crusca

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