Aggredita la coraggiosa contadina peruviana che lotta contro le multinazionali dell’oro

Attivisti indigeni ancora sotto attacco: ad essere aggredita, questa volta, è stata Maxima Acuña Chaupe, la coraggiosa contadina peruviana che da anni lotta per proteggere la sua terra dalle mire di una compagnia mineraria. Appena qualche giorno fa, Maxima, che solo la scorsa primavera era stata insignita del Goldman Environmental Prize, è stata ferita da agenti armati mentre si trovata sui suoi terreni, nel cuore delle Ande.

Attivisti indigeni ancora sotto attacco: ad essere aggredita, questa volta, è stata Maxima Acuña Chaupe, la coraggiosa contadina peruviana che da anni lotta per proteggere la sua terra dalle mire di una compagnia mineraria. Appena qualche giorno fa, Maxima, che solo la scorsa primavera era stata insignita del Goldman Environmental Prize, è stata ferita da agenti armati mentre si trovata sui suoi terreni, nel cuore delle Ande.

La vicenda di Maxima riporta tristemente alla memoria quella di Berta Caceres, l’attivista honduregna vincitrice dl Goldman Environmental Prize nel 2015 e assassinata meno di un anno più tardi, lo scorso mese di marzo, dopo un susseguirsi di atti intimidatori. La sua unica colpa era quella di ostacolare il progetto di una diga che avrebbe stravolto e compromesso i territori indigeni nell’Honduras nord-occidentale.

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A differenza di Caceres, però, Maxima Acuña è ancora viva, anche se continua ad essere vittima di vessazioni. La sua storia racconta di una donna minuta, indomita e caparbia che, seppure analfabeta, non ha esitato ad ingaggiare una battaglia legale per difendere le proprie terre, divenute di ostacolo al progetto di espansione di Yanacocha, la più grande miniera d’oro dell’America Latina.

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La miniera Yanacocha è controllata dalla multinazionale mineraria omonima, di proprietà della società statunitense Newmont Mining Corporation (51,35%), della peruviana Buenaventura (43,65%) e dell’International Finance Corporation, un’agenzia della Banca Mondiale (5%). Una lotta impari, quella di Maxima, ma condotta con coraggio, integrità e fermezza, tanto che la donna è divenuta mano a mano un simbolo e un esempio di coraggio per le popolazione andine, fino a convincere la commissione del Goldman Environmental Prize, una sorta di Nobel per l’ambiente, ad insignirla del prestigioso riconoscimento.

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Ma, a quanto parte, la fama internazionale non è stata sufficiente a fermare violenze ed atti intimidatori, culminati nell’attacco consumatosi appena qualche giorno fa. Ysidora Chaupe, figlia maggiore di Maxima Acuña, ha riferito ad Amnesty International che la mattina del 18 settembre, mentre Máxima Acuña era sola in casa con il marito Jaime Chaupe, circa 15-20 agenti di sicurezza che fanno capo alla compagnia mineraria Yanacocha, accompagnati da un gruppo non meglio identificato di persone, si sono introdotti nei terreni di proprietà della famiglia e hanno distrutto un campo coltivato di circa 200 metri quadri.

Non è la prima volta che un episodio simile colpisce la famiglia di Maxima. La differenza, tuttavia, sta nel fatto che questa volta, quando la donna e il marito hanno affrontato gli agenti per difendere il proprio raccolto, sono stati malmenati, al punto da dover ricorrere alle cure mediche. Secondo quanto appreso da Amnesty International, al momento Máxima Acuña è ricoverata presso un centro medico della città di Cajamarca. Le sue condizioni non sarebbero gravi.

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La Yanacocha nel frattempo ha dichiarato di aver distrutto i raccolti degli Acuña-Chaupe nell’esercizio della “difesa del proprio diritto di possesso”, accusando la famiglia di aver usurpato, con le proprie coltivazioni, dei terreni di proprietà della miniera. Una affermazione quantomeno discutibile, dato che ben due sentenze, nel 2014 e nel 2015, hanno confermato che Maxima, suo marito e i loro figli sono i legittimi proprietari dei terreni in cui vivono e che lavorano da oltre venti anni.

A questo punto, neppure la legge sembra essere sufficiente a contenere l’arroganza di chi, forte di una posizione di potere, pensa di avere la facoltà di disporre a piacimento delle vite e dei beni altrui, calpestando i diritti più elementari. Cos’altro dovrà ancora accadere, ci chiediamo, perché le autorità peruviane si decidano finalmente a proteggere Maxima e la sua famiglia, facendo valere la giustizia?

Lisa Vagnozzi

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