Armi chimiche: l’eredità di veleni bellici ancora nei nostri mari

Un dossier di Legambiente svela che nel nostro paese, molto spesso in fondo al mare, ci sono migliaia di armi chimiche abbandonate, che generano veleni

Armi chimiche, i nostri mari ne sono pieni. Bombe a grappolo, proiettili, bombe all’aprite e barili di sostanze tossiche inabissate. A rivelarlo è stata Legambiente con il dossier “Armi chimiche: Un’eredità ancora pericolosa”.

Secondo l’associazione questo vero e proprio arsenale, prodotto dall’industria bellica italiana dagli anni ‘20 fino alla seconda guerra mondiale e coperto per anni dal Segreto di Stato, continua tutt’oggi a rilasciare pericolose sostante tossiche. Oltre 80 anni di veleni, che provocano ingenti danni all’ecosistema e alla salute umana. Le regioni che si affacciano sull’Adriatico sono quelle più colpite dal problema. Il dossier ha mappato le zone più a rischio, definendole cimiteri chimici.

A far emergere gli orrori in Puglia sono stati i lavori di dragaggio del porto di Molfetta che hanno portato alla luce alcuni ordigni bellici, e dando il via alle operazioni di bonifica, tutt’ora in corso. Si lavora anche per accertare la presenza di ordigni nei fondali marini di fronte Torre Gavetone. Vi sono resti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche ordigni inesplosi sganciati nel 1999 dai caccia Nato durante il conflitto del Kosovo.

Già nel 2001, in tutta la Puglia, Legambiente con la campagna “Via le bombe da un mare di pace” aveva chiesto la bonifica dei fondali per evitare che fossero i pescatori a farlo. Ma gran parte dei lavori di risanamento non sono ancora partiti. Secondo un’indagine dell’Ispra, nell’area sono oltre 20mila gli ordigni con caricamento chimico presenti nei fondali del basso Adriatico. E non è tutto. Le analisi hanno mostrato anche le gravi conseguenze nei pesci causate da sostanze come l’iprite, oltre a concentrazioni d’arsenico di gran lunga superiori ai valori soglia nei sedimenti marini.

Male anche nelle Marche e in Campania, dove ci sono altri siti su cui fino ad ora non è stata effettuata alcuna indagine accurata per quantificare il materiale presente. Tra essi l’area marina di Pesaro e il Golfo di Napoli. Riguardo a quest’ultimo, la presenza di ordigni bellici è testimoniata da documenti militari americani segreti, di cui sono noti solo alcuni stralci, che indicano l’area intorno a Ischia come sito di abbandono di bombe chimiche all’indomani della seconda guerra mondiale. “Una vera e propria discarica chimica e anche il mare circostante l’isola di Capri non sembra essere esonerato dal problema” si legge nel dossier di Legambiente.

Per questo Legambiente e il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche hanno richiesto che venga nominata “un’attività permanente d’indagine che coinvolga vari soggetti tra cui Arpam e Università di Urbino, per compiere un monitoraggio costante nel tempo e quindi intraprendere le eventuali azioni di bonifica“.

Il problema delle armi chimiche coinvolge anche il Lazio con la Chemical City sul lago di Vico (VT). Un mistero che per decenni ha coinvolto la Chemical City, il centro di ricerca e produzione di armi chimiche voluto da Mussolini e attivo fino agli anni ’70, che è stato scoperto solo nel 1996 quando un ciclista rimase intossicato dalle esalazioni generate dalle operazioni segrete di svuotamento delle cisterne dell’impianto.

Nei pressi di Roma un’ altra industria bellica, attiva dal 1912, quella di Colleferro, costituisce un pericolo, anche se di recente l’area della Valle del Sacco è diventata Sito di interesse nazionale da bonificare.

Si tratta di cimiteri chimici che rilasciano sostanze killer dannosissime come arsenico, iprite, lewsite, fosgene e difosgene, acido cloro solfonico e cloropicerina – ha spiegato Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente Per richiedere la bonifica di questi siti e per denunciare queste situazioni, è nato il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, al quale ha aderito l’associazione. L’obiettivo – aggiunge – è di promuovere azioni per la difesa dell’ambiente e la protezione contro i rischi derivanti dall’esposizione a sostanze tossiche provenienti dalle armi chimiche e dalla mancata bonifica dei siti civili e militari a terra, nei laghi, nei fiumi e nel mare, in cui queste armi sono state fabbricate o abbandonate. Su questo ci aspettiamo un cambio di passo e un segnale di protagonismo e trasparenza da parte delle istituzioni, a partire dal Ministero della Difesa e dal Parlamento”.

Intanto, in fondo ai nostri mari ma anche sulla terraferma, migliaia di rottami bellici emanano veleni, in attesa che qualcuno provveda alla loro rimozione.

Francesca Mancuso

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