Anche gli orsi della Scandinavia sono resistenti agli antibiotici (ma c’è ancora qualcosa che possiamo fare)

Perfino gli angoli più remoti del mondo, come le foreste della Scandinavia, sono ormai irrimediabilmente contaminati dalla mano dell’uomo

Perfino gli angoli più remoti del mondo, come le foreste svedesi, sono ormai contaminati dalla mano dell’uomo. Un triste indicatore di quanto siano estesi i danni da noi provocati

Un nuovo studio sugli orsi bruni che vivono nelle remote foreste scandinave dimostra che la resistenza agli antibiotici, provocata dall’utilizzo massiccio di farmaci, può essere limitata nel tempo se viene ridotto l’uso di antibiotici, come è accaduto in Svezia.

Il crescente problema della resistenza agli antibiotici (negli animali ma anche nell’uomo) dopo la produzione su scala industriale dei prodotti antimicrobici iniziò negli anni ’40 del secolo scorso e gli orsi bruni svedesi (Ursus arctos) ne mostrano tutte le tracce: a partire dagli anni ’50 infatti, gli animali hanno mostrato una sempre crescente resistenza agli antibiotici.

Tuttavia, dopo gli anni ’80, quando la Svezia ha introdotto regolamentazioni specifiche per il controllo all’uso di antibiotici, la resistenza ai farmaci negli orsi sembra essere diminuita. Questo suggerisce che i sistemi di regolamentazione e controllo nella diffusione di questi farmaci possono davvero fare la differenza per attenuare i danni dell’uomo sull’ambiente.

Quello della antibiotico-resistenza è un problema sempre più importante che va ormai avanti da decenni. I farmaci antibiotici sfruttano il sistema difensivo di muffe come la penicillina (Penicillium): in natura, queste muffe producono molecole antibiotiche per difendersi dai batteri, e l’uomo è stato in grado di sfruttare questo sistema a proprio vantaggio. Tuttavia, in natura i batteri si sviluppano in risposta alle difese delle muffe e, conseguentemente, le muffe sviluppano ulteriori difese.

(Leggi anche: La pandemia di resistenza agli antibiotici sta facendo morire di polmonite sempre più bambini del Bangladesh)

Questo accade anche in risposta ai farmaci antibiotici. I batteri quindi, nei decenni, sono diventati sempre più resistenti agli antibiotici – e ciò ha provocato lo sviluppo di difese immunitarie più deboli in uomini e animali. Secondo un report pubblicato nel 2019 dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC), ogni anno negli Stati Uniti si sviluppano più di 2,8 milioni di infezioni resistenti agli antibiotici, e più di 35.000 persone muoiono perché infettate da un batterio resistente ai farmaci antibiotici.

Non è ancora chiaro come e quanto in profondità gli antibiotici penetrino nell’ambiente naturale. Certamente i farmaci e i batteri antibiotico-resistenti entrano nel circolo delle acque reflue attraverso i nostri scarichi domestici (questo accade anche per le sostanze stupefacenti, che come conseguenza generano forme di ‘dipendenza’ anche fra gli animali che vivono in prospicienza dei corsi d’acqua), ma comprendere il più ampio impatto di questa contaminazione nel tempo risulta difficile.

Un team di ricercatori della Norwegian University of Science and Technology ha provato a dare una risposta a questo interrogativo analizzando le ossa di orsi bruni conservate nei musei. In particolare, è stato preso in esame il tartaro presente sulle dentature di 82 orsi bruni vissuti fra il 1842 e il 2016: il tartaro conserva nel tempo campioni delle colonie batteriche che hanno vissuto nella bocca degli animali e, grazie a queste informazioni, gli scienziati hanno potuto ricostruire la storia dell’antibiotico-resistenza.

I livelli più alti di batteri resistenti agli antibiotici sono stati scoperti negli animali vissuti negli anni ’50 del secolo scorso. Dopo questo picco, si è assistito a un declino dei batteri antibiotico-resistenti grazie a una legge del governo svedese che ha vietato l’uso degli antibiotici nell’agricoltura a partire dagli anni ’80.

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Fonte: Current Biology

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