Ti spieghiamo perché gli abbattimenti degli orsi in Trentino non possono essere una soluzione

Non è né colpa del runner né dell’orso, ma di una classe politica sostanzialmente incapace di gestire un progetto che prevedeva la reintroduzione dell’orso bruno nelle aree del Brenta, dove era in via di estinzione. Ora ci si fa complici di un vero e proprio paradosso: abbattere quegli stessi orsi

Da quando il progetto di ripopolamento orsi è iniziato, poco e nulla è stato fatto per tutelare nel vero senso della parola quella fauna selvatica e per spingere a una convivenza pacifica. La sensazione? È che alla classe politica, incapace e colpevole, la situazione sia totalmente sfuggita di mano.

Eppure, anno 2023, il fattaccio che non doveva accadere è accaduto e una persona incolpevole, sul Monte Peller (Parco Adamello Brenta) è morta per mano di un orso altrettanto incolpevole. Di chi è la responsabilità, dunque? Solo e soltanto della mala gestione di una cosa evidentemente più grande di una certa parte della politica tutta italiota.

Leggi anche: L’ordinanza di abbattimento per l’orso (e di altri 3) che ha ucciso il runner è un fallimento per tutti

Abbiamo proposto, quando ero al ministero, tante soluzioni per la convivenza tra grandi carnivori ed esseri umani come si fa in tutti i Paesi d’Europa, perché orsi e lupi non esistono solo in Italia. Abbiamo proposto ad esempio l’utilizzo sistematico del radio collare per monitorare la presenza degli animali come gli orsi ed evitare così che si avvicinassero a zone abitate. Ma niente, nessuno ha voluto ascoltare e ora esiste solo la politica di uccidere, scrive in un post accorato Sergio Costa, ora vice Presidente della Camera.

Il progetto Life Ursus

Nella metà degli anni ’90 si decise di reintrodurre gli orsi nelle Alpi centrali grazie al progetto Life Ursus, finanziato dall’Unione europea, la provincia di Trento, il Parco Adamello Brenta e l’Istituto nazionale della fauna selvatica. Nel ’99 dalla Slovenia arrivarono i primi esemplari, erano Masun e Kirka e poi fu la volta di Daniza e di altri 7 orsi, per un totale di 10. A tutti furono messi dei radiocollari per monitorarne gli spostamenti, mentre nel 2002 si ebbe la prima riproduzione accertata.

In quasi 25 anni dal nucleo originario è venuta su una popolazione più numerosa di quella prevista. Ad oggi, il progetto Life Ursus non è più gestito dal Parco, ma è in capo alla Provincia autonoma di Trento, mentre il Parco continua con attività di ricerca, monitoraggio ed educazione ambientale.

Un progetto, insomma, per sua natura di grande impatto e rilevanza, ma qualcosa è andato storto perché, se è successo quello che è successo (Legambiente ricorda che questo sarebbe il primo caso registrato nel nostro Paese negli ultimi 150 anni di un’aggressione di un orso che provoca una vittima, a fronte di 7 aggressioni ufficialmente registrate nell’area alpina italiana negli ultimi anni e qualche decina di contatti diretti tra il plantigrado e l’uomo), è evidente che in Trentino-Alto-Adige ci sia un problema di gestione di questi plantigradi e di convivenza con la comunità locale.

Non tutti sanno, inoltre, che nel caso di orsi “problematici” (non amiamo questa definizione…) o eccessivamente confidenti, c’è il PACOBACE, ossia il Piano d’azione interregionale per la tutela dell’orso bruno sulle alpi centro-orientali che prevede due soluzioni estreme: la prima, indicata con la lettera J, prevede la cattura e la detenzione permanente, la seconda opzione, indicata con la lettera K, prevede l’abbattimento dell’orso. Scelta quest’ultima che sarà adottata per questo orso in linea con quanto previsto dal PACOBACE.

Cosa fare

Riprendere in mano la situazione che, è chiaro, è sfuggita di mano. Non è un caso che in una intervista il veterinario Alessandro De Guelmi, il principale esperto del progetto Life Ursus, abbia raccontato che al momento in Trentino ci sono 120 esemplari di orso, di cui solo 3 dotati di radiocollare, ma scarico.

Non saremo certo noi a dirlo, anche se – vista dall’esterno – quello che sembra urgente è un chiarimento tra ministero, Regione, aree protette e associazioni perché la soluzione non è già abbattere gli orsi ma piuttosto sbrigarsi a migliorare la gestione e la convivenza con l’orso stesso.

Il motivo? Questa nuova caccia alle streghe che si è architettata non farà altro che aumentare la paura nelle comunità locali e tra i turisti.

Servono amministratori in grado di gestire la perfetta unione tra uomo e natura e, perché no, in grado di impegnarsi di più nel monitorare ogni singolo fenomeno, nel divulgare la conoscenza nelle scuole, nei sentieri assieme agli escursionisti, nei luoghi dove si concentrano i visitatori, per dare loro informazioni utili anche sulla presenza di grandi carnivori e per prevenire l’insorgere di situazioni che, sì, si possono evitare.

Bastano solo un po’ di interesse, serio, e competenze. E un briciolo di sale in zucca.

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