Megalodonte: uno studio rivela nuovi intriganti indizi sul predatore oceanico estinto

Un nuovo studio scientifico presenta nuove caratteristiche sullo squalo più grande mai esistito sul Pianeta, che potrebbero averlo reso più vulnerabile e, con il raffreddamento globale e altri fattori già noti alla scienza, portato alla sua estinzione

Lo hanno soprannominato “il terrore degli oceani”, essendo stato lo squalo più temuto di sempre e il più grande predatore dei mari mai esistito sull’intero Pianeta. Sul megalodonte e la sua estinzione avvenuta oltre 3 milioni di anni fa si sono interrogati gli studiosi di tutto il mondo.

Cosa può aver spinto questa gigantesca specie sull’orlo del baratro? Sappiamo che il calo delle temperature oceaniche provocò l’estinzione di moltissime specie animali. Alcune ricerche avevano suggerito inoltre che la colpa fosse dello squalo bianco e che tra i due esistesse quindi una competizione alimentare.

Ora una recente ipotesi fornisce nuovi indizi sul megalodonte e, legandosi alle teorie esposte da altri studiosi, ne amplierebbe la conoscenza. Per i ricercatori della University of California, UC Merced e William Paterson University il megalodonte sarebbe stato un predatore a sangue caldo in grado di regolare la sua temperatura corporea.

Proprio questa caratteristica sarebbe stata la sua rovina. Lo rivela uno studio sulla fisiologia endotermica dei megalodonti, condotto dai tre poli universitari e apparso sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences.

Gli studiosi dei tre atenei hanno svolto accertamenti sui resti di megalodonte che più facilmente si trovano sulla Terra: i denti del predatore. Sono stati analizzati gli isotopi nello smalto dei denti e condotti esami anche su denti di altri squali. I risultati hanno mostrato che il megalodonte era in grado di mantenere una temperatura corporea di 7° C più alta rispetto all’acqua.

Diversi esperti hanno immaginato che il megalodonte potesse appartenere agli endotermi ossia animali a sangue caldo, ma non essendo arrivati a noi i tessuti molli, era difficile confermare o smentire questa ipotesi. Ecco che proprio i denti possono rappresentare l’elemento chiave per risolvere il mistero.

Si può pensare agli isotopi conservati nei minerali che compongono i denti come a una sorta di termometro, ma la cui lettura può essere conservata per milioni di anni – ha affermato Randy Flores, studente nel corso di dottorato dell’UCLA – poiché i denti si formano nel tessuto di un animale quando è vivo, possiamo misurare la composizione isotopica dei denti fossili per stimare la temperatura alla quale si sono formati e questo ci dice la temperatura corporea approssimativa dell’animale in vita”

Grazie a una temperatura più elevata, il megalodonte sarebbe stato in grado di nuotare più velocemente e raggiungere diversi mari della Terra di un tempo, ma con il raffreddamento globale e per lui non c’è stato scampo. Gli “elevati costi metabolici associati all’endotermia almeno parziale possono aver contribuito alla sua vulnerabilità e all’estinzione” si legge nello studio.

Mantenere un livello di energia che consenta l’elevata temperatura corporea del megalodonte richiederebbe un appetito vorace che potrebbe non essere stato sostenibile in un periodo di cambiamento degli equilibri dell’ecosistema marino quando potrebbe anche aver dovuto competere con i nuovi arrivati ​​come il grande squalo bianco”

La ricerca potrebbe aiutare gli studiosi a comprendere meglio come mai il megalodonte si estinse nel Pliocene e, perché no, portare a nuove scoperte. Il gruppo intende ora utilizzare lo stesso approccio per altre specie.

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Fonte: Proceedings of the National Academy of Sciences – UCLA

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