Maduro legalizza lo sfruttamento dell’oro in sei fiumi del Venezuela mettendo a rischio la salute di 54mila indigeni

Il presidente Nicolas Maduro rimuove i divieti e legalizza l'estrazione mineraria in sei fiumi dell'Amazzonia favorendo la diffusione del coronavirus

La corsa all’oro in Venezuela non si ferma. Il presidente Nicolas Maduro rimuove i divieti e legalizza l’estrazione mineraria in sei fiumi dell’Amazzonia. Secondo gli attivisti questa mossa può favorire la diffusione del coronavirus e una vera e propria strage di tribù indigene.

Nella regione amazzonica del Venezuela vivono circa 54mila indigeni appartenenti a nove tribù diverse, molte vivono isolate e non hanno difese immunitarie. Eppure questo non sembra un problema per Maduro che, con una decisione criticata dall’Assemblea nazionale (controllata dall’opposizione), ha autorizzato l’estrazione di oro in sei fiumi dell’Amazzonia. I fiumi in questione, che sono soprattutto fonte di sostentamento per le tribù, sono Cuchivero, Caura, Aro, Croni, Yuruari e Cuyunu che si trovano nell’Orinoco Mining Arc, un’area che copre oltre 100mila km2.

Non è la prima volta che parliamo di estrazione dell’oro. Una pratica che viene svolta illegalmente, ma che adesso potrebbe incentivarsi, secondo gli attivisti, grazie alla rimozione del divieto. Così, i bacini idrografici vitali per l’Amazzonia continuano ad essere spremuti. A rischio ci sono le popolazioni indigene, ma anche la biodiversità. Il governo Chavista ha dichiarato i fiumi adatti sia allo sfruttamento di oro che diamanti nell’ambito del progetto Arco Minero, che dal 2016 con la società mineraria Miraflores dà luogo ad estrazioni selvagge, nonostante la denuncia di residenti, organizzazioni ambientaliste e la contraria dell’Assemblea nazionale dal presidente ad interim Juan Guaidó.

L’anno scorso, Maduro aveva annunciato il piano minerario 2019-2025 considerandolo come ‘la forza trainante’ del paese e dichiarandolo addirittura come ‘ecologico’. Il piano mira a generare un indotto di milioni di euro, grazie all’esplorazione e allo sfruttamento di 13 minerali, tra cui oro, diamanti, bauxite, ferro, nichel, feldspato e fosfato, stringendo alleanze con società nazionali e internazionali. Secondo il regime venezuelano, solo di oro si possono estrarre 2.236 tonnellate, che rappresentano circa 94 miliardi di euro. Il paese è la quinta riserva d’oro al mondo e Maduro aspira a raggiungere il primo posto.

Maduro si giustifica dicendo che il denaro sarà investito in istruzione, sanità, cibo, costruzione di case e servizi per le persone, ma Ma Guaidó denuncia che il governo utilizza l’estrazione illegale per finanziare il regime e una rete di traffico di droga gestita da Caracas.I danni che il progetto minerario ha causato alla regione sono stati denunciati e fotografati anche dalla giornalista Arianna Arteaga.

“La cosa più dolorosa è aver conosciuto tutti questi luoghi quando erano incontaminati, magnifici, quando erano adatti a un turismo rispettoso della natura e ora sono morti nelle fauci delle miniere”, dice all’ABC e continua “Questo non è solo un ecocidio, è un crimine sociale, culturale e un duro colpo per i diritti umani non solo per gli indigeni della zona, ma anche per tutti i venezuelani e per l’umanità nel suo insieme. Se l’acqua è vita, la miniera è morte”.

Questo ecocidio provoca, oltre all’avvelenamento idrico, la deforestazione e la trasformazione dei fiumi in deserti. I fiumi poi potrebbero essere contaminati dal mercurio.

“Di tutte le attività predatorie autorizzate dal governo nei parchi nazionali, questa è la più dannosa perché colpisce direttamente i canali di sei grandi fiumi della regione”, dice María Gabriela Hernández del Castillo, presidente della Commissione Ambiente, risorse naturali e cambiamenti climatici dell’Assemblea nazionale.

Ciò provoca anche la diversione dei canali che possono causare alluvioni e persino l’inutilità della diga Guri (la più grande centrale idroelettrica del paese) che fornisce il 70% dell’energia al Venezuela.“L’attività mineraria ha interessato anche le comunità indigene Pemón, Yekuana, Sanema, Yanomami e Jivi che popolano le sue sponde, consumano i suoi pesci e bevono le sue acque”, chiosa il presidente.

Fonte: ABC News

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