Non c’è giustizia per il clima: il tribunale ha deciso di non decidere sulla causa climatica contro lo Stato italiano

Non c’è giustizia per il clima: è questo quanto emerge dal primo grado della causa climatica contro lo Stato italiano che ha dichiarato tale causa inammissibile e si è rifiutato di entrare nel merito delle richieste

A oltre due anni e mezzo dall’inizio del procedimento, il primo grado della causa climatica contro lo Stato italiano si è concluso con una decisione del tribunale di Roma che ha dichiarato la causa inammissibile per difetto di giurisdizione.

Di fatto, la giudice ha evitato di entrare nel merito delle richieste dei 203 ricorrenti, supportati da 100 organizzazioni della campagna “Giudizio Universale” e da oltre 20.000 cittadini. La decisione si basa sull’affermazione che il tribunale non ha competenza per esprimersi sulla causa, sostenendo che in Italia non esistono tribunali in grado di decidere su questo tipo di domanda.

Dopo tutto questo tempo e migliaia di pagine di documentazione prodotta, era lecito aspettarsi che il tribunale entrasse nel merito del giudizio e invece così non è stato. Una scelta che stride con l’oggetto stesso della causa, ovvero l’urgenza di agire contro i cambiamenti climatici.

Una decisione che pone l’Italia indietro anni luce

Ma qual era la richiesta? Si chiedeva al tribunale di riconoscere che l’insufficienza delle politiche climatiche in campo minaccia il godimento dei diritti fondamentali dei cittadini. Per questo si puntava ad imporre allo stato di rivedere al rialzo gli obiettivi di riduzione delle emissioni.

Una decisione che pone l’Italia in una posizione di retroguardia rispetto ad altri Stati europei che hanno affrontato cause simili e hanno emesso sentenze di accoglimento, verificando se gli Stati rispettassero i loro obblighi climatici. Una vera e propria occasione persa, insomma.

Secondo il team di giuristi e avvocati che ha seguito la causa, la sentenza si pone in contrasto con la Carta dei Diritti fondamentali dell’UE e con la CEDU, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice riguardo le questioni climatiche.

Per tutti questi motivi, i promotori della campagna “Giudizio Universale” hanno promesso che non sarà l’epilogo e hanno annunciato che impugneranno la sentenza e continueranno a lottare per vedere riconosciute le loro richieste e il diritto al clima. La battaglia, affermano, non finisce qui, e proseguiranno il loro impegno dentro e fuori i tribunali.

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