Nel Tirreno record di microplastiche: è il più alto livello mai registrato al mondo

Un nuovo studio internazionale pubblicato su Science ha scoperto che nel Mar Tirreno è presente la più alta concentrazione di microplastiche del mondo

Allarme microplastiche nel Tirreno. Un nuovo studio condotto da un team internazionale di ricerca ha scoperto che il Tirreno ospita una quantità di rifiuti molto più alta di quanto stimato fino ad oggi. Nell’area compresa fra Toscana, Lazio, Sardegna e Corsica gli scienziati hanno contato fino a 1,9 milioni di frammenti in un solo metro quadrato.

Cifre che fanno impallidire. Il problema delle microplastiche nei fondali di tutto il mondo è tutt’altro che risolto e ci riguarda molto da vicino. Secondo la nuova ricerca, condotta dagli scienziati dalle università di Manchester, Durham e Brema, in collaborazione coi colleghi del Centro oceanografico britannico (Noc) e dell’Istituto francese di ricerca per lo sfruttamento del mare (Ifremer), la concentrazione di microplastica nel Tirreno presenta i valori più alti mai registrati nei fondali profondi: sono state trovate fino a 182 fibre e 9 frammenti per 50 g di sedimento essiccato alla base del versante continentale sardo.

Tali valori superano di gran lunga i livelli più alti precedentemente registrati, compresi quelli provenienti dalle trincee situate in acque profonde ed è più del doppio di quella documentata nei canyon sottomarini.

Oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono negli oceani ogni anno ma essi rappresentano meno dell’1% della plastica che finisce in mare. Il restante 99% probabilmente finisce nelle profondità degli oceani ma finora non si conoscono con certezza le sorti.

Le microplastiche sul fondo del mare sono costituite principalmente da fibre tessili e di abbigliamento che non vengono efficacemente filtrate dagli impianti di trattamento delle acque reflue così finiscono per raggiungere fiumi e mari. Il nuovo studio ha dimostrato anche come le correnti di acque profonde fungano letteralmente da nastri trasportatori, facendo spostare piccoli frammenti e fibre di plastica attraverso i fondali.

Queste correnti possono concentrare le microplastiche all’interno di enormi accumuli di sedimenti, che hanno definito “punti caldi della microplastica”.

 “Quasi tutti hanno sentito parlare delle famigerate isole di plastica galleggiante, ma siamo rimasti scioccati dalle alte concentrazioni di microplastiche che abbiamo trovato nel fondo marino. Abbiamo scoperto che le microplastiche non sono distribuite uniformemente nell’area di studio; invece sono distribuite da potenti correnti sul fondo del mare che le concentrano in determinate aree” ha detto l’autore principale dello studio, il dott. Ian Kane dell’Università di Manchester.

microplastiche

©Manchester University

Il team ha raccolto campioni di sedimenti dal fondo del Mar Tirreno e li ha combinati con modelli di correnti oceaniche profonde e  con una mappatura dettagliata del fondo marino. In laboratorio, le microplastiche sono state separate dai sedimenti, contate al microscopio e ulteriormente analizzate mediante spettroscopia infrarossa per determinarne le tipologie. Utilizzando queste informazioni il team è stato in grado di mostrare come le correnti ne controllassero la distribuzione.

Non si tratta del primo studio di questo tipo:

Ancora, le correnti oceaniche profonde trasportano acqua e sostanze nutritive, il che significa che i punti caldi delle microplastiche possono anche ospitare importanti ecosistemi.

Lo studio fornisce dunque il primo collegamento diretto tra il comportamento di queste correnti e le concentrazioni di microplastiche dei fondali marini e i risultati aiuteranno a prevedere le posizioni di altri hotspot microplastici in acque profonde.

microplastiche

©Science

“I risultati evidenziano la necessità di interventi politici per limitare il flusso futuro della plastica negli ambienti naturali e minimizzare gli impatti sugli ecosistemi oceanici” ha aggiunto il dott. Mike Clare del National Oceanography Centre, co-responsabile della ricerca.

Lo studio è stato pubblicato su Science.

Fonti di riferimento: Università di Manchester, Science

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