Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé aggravano la crisi climatica con la loro plastica. Report shock di Greenpeace

Diffuso dall’associazione Greenpeace il nuovo report riguardante l’impatto della produzione di plastica monouso sulla crisi climatica

Diffuso dall’associazione Greenpeace il nuovo report riguardante l’impatto della produzione di plastica monouso sulla crisi climatica, e le previsioni sono allarmanti

Pubblicato il rapporto di Greenpeace The Climate Emergency Unpacked sull’utilizzo della plastica monouso, che evidenzia i legami commerciali e le comuni attività di lobby tra le aziende che impiegano imballaggi monouso e l’industria petrolifera e del gas. Secondo l’associazione, alcune multinazionali di beni di consumo non solo non starebbero adottando misure di contrasto all’inquinamento, ma starebbero addirittura favorendo l’espansione della produzione di plastica, con impatti negativi sul clima e sulle persone di tutto il mondo.

Per decenni, le multinazionali dei beni di consumo hanno collaborato con l’industria dei combustibili fossili per presentare il riciclo come soluzione all’inquinamento da plastica, nonostante l’inefficacia di questa presunta soluzione sia oggi evidente su scala globale – si legge nel report. – Tutte queste realtà produttive hanno unito gli sforzi per ostacolare l’introduzione di nuove leggi in grado di limitare l’uso di imballaggi e hanno sostenuto progetti di “riciclo chimico o avanzato” che ancora restano sulla carta. Inoltre, le industrie del monouso e delle fonti fossili fanno parte di gruppi di facciata che ancora oggi sostengono queste false soluzioni.

La produzione di plastica negli ultimi decenni

La produzione di plastica negli ultimi decenni (@ Greenpeace)

L’associazione punta il dito, in particolare, contro alcune multinazionali che fatturano ogni anno miliardi di dollari e che basano i loro business sull’impiego di grandi quantità di plastica monouso: ai primi posti Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé – accusare, nel report, di nascondere le informazioni relative alle filiere produttive dei loro imballaggi per nascondere le violazioni dei diritti umani e ambientali di cui sono responsabili.

Per molto tempo, le multinazionali che impiegano grandi quantità di plastica usa e getta nei loro prodotti hanno cercato di nascondere i legami con le aziende dei combustibili fossili e con l’industria petrolchimica – si legge ancora. – La nostra investigazione svela che invece hanno obiettivi comuni e continuano a inquinare il pianeta. Se le aziende come Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé avessero realmente intenzione di proteggere l’ambiente e le persone, dovrebbero immediatamente porre fine all’alleanza con l’industria dei combustibili fossili e abbandonare il monouso nei loro prodotti.

Secondo l’associazione, se si mantengono questi ritmi, la produzione di plastica monouso si triplicherà entro il 2050, con il conseguente aumento delle emissioni nocive legate al ciclo di vita della plastica di oltre il 50% entro il 2030. Il termine, ironia della sorte, è lo stesso fissato dagli Accordi di Parigi sul Clima per contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C.

Principali produttori mondiali di plastica monouso (@Greenpeace)

Principali produttori mondiali di plastica monouso (@Greenpeace)

La petizione

Per provare a contrastare la piaga della plastica, Greenpeace Italia ha lanciato una petizione per chiedere alle aziende leader del mercato italiano di ridurre drasticamente il ricorso a bottiglie in plastica monouso, di cui l’Italia è tra i maggiori consumatori al mondo: ogni anno nel nostro paese vengono utilizzate (e gettate) più di 11 miliardi di bottiglie di plastica; inoltre, siamo terzi nel mondo (dopo Messico e Thailandia) e primi in Europa per il consumo di acqua minerale in bottiglie di plastica.

La petizione fa luce anche sull’illusione del riciclo delle bottiglie di plastica, sbandierata da molti brand produttori: solo la metà del PET venduto in tutto il mondo viene raccolto per essere riciclato, e solo il 7% delle bottiglie raccolte per il riciclo sono trasformate in nuove bottiglie – il resto finisce disperso in natura, bruciato negli inceneritori, depositato in discariche (spesso gestite in modo illegale), aumentando ancora di più il danno per l’ambiente.

QUI è possibile leggere il rapporto completo di Greenpeace. 

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Fonte: Greenpeace

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