La Corte di Giustizia Ue boccia il divieto italiano sui sacchetti di plastica, torneremo alle buste monouso?

La normativa con cui l'Italia nel 2013 vietò la commercializzazione di sacchetti monouso fabbricati con materiali non biodegradabili e non compostabili violerebbe il diritto dell’Unione europea. La decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea arriva dopo una causa intentata da un produttore di sacchetti di plastica. Ma di che si tratta?

Se i sacchetti in plastica rispettano altri requisiti di riutilizzabilità e limitano al massimo la quantità di metalli e altre sostanze nocive allora potrebbero rientrare, allora non è possibile vietarne la vendita.

Questo è il senso del verdetto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, cui il Tar del Lazio si era rivolto per avere chiarimenti dopo una causa intentata da un produttore di sacchetti di plastica: i giudici europei hanno ora sancito che la normativa italiana, che vieta la vendita di sacchetti monouso non biodegradabili e non compostabili, viola il diritto Ue.

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Ma cosa significa esattamente?

I fatti

Dieci anni fa, la Papier Mettler Italia, una multinazionale di imballaggi, aveva impugnato il decreto del 18 marzo 2013 degli allora ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico con cui era stata vietata la fabbricazione e la commercializzazione di sacchetti di plastica per l’asporto delle merci che non fossero in possesso di determinati requisiti.

L’azienda si era dunque opposta alla normativa italiana rivolgendosi al Tar del Lazio, che si è poi a sua volta rivolto alla Corte.

E oggi la sentenza: secondo i giudici, il diritto dell’Unione europea si oppone a quella norma nazionale che vieta la vendita dei sacchetti monouso diversamente riciclabili, a condizione che questi rispettino altre prescrizioni previste dalla direttiva sugli imballaggi del 1994.

Se i criteri previsti dalle normative in vigore non vengono violati, il diritto nazionale non può prevalere su quello comunitario.

L’unica strada per l’Italia per far valere il divieto, fanno sapere, sarebbe una deroga “basata su nuove prove scientifiche relative alla protezione dell’ambiente emerse successivamente all’adozione di una norma Ue”, e a condizione che lo Stato “comunichi alla Commissione le misure previste e i motivi della loro adozione”.

La violazione si verifica se i sacchetti in plastica rispettano altri requisiti di riutilizzabilità e limitano al massimo la quantità di metalli e altre sostanze nocive.

Torneremo agli shopper di plastica?

Certo che no, anche perché nel intanto sono state approvate delle direttive europee in alcuni casi anche più stringenti rispetto alla legge italiana

Nel 2015 Bruxelles emanò infatti la cosiddetta “direttiva shopper” che, in buona parte, ricalcò quanto stabilito dall’Italia tre anni prima.

La precisazione dei produttori di bioplastiche italiani

Assobioplastiche evidenzia che la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea oggi pubblicata riguarda esclusivamente la vecchia normativa italiana sui sacchetti di plastica.

La pronuncia riguarda in concreto un vecchio decreto ministeriale (il DM 18 marzo 2013) che da tempo non è più in vigore che venne adottato dall’Italia quando ancora non era stata emanata la direttiva shopper 2015/720, che contempla espressamente la possibilità per gli Stati di vietare i sacchetti di plastica.

Si tratta di un giudizio relativo quindi a normative già abrogate e del tutto superate dalle nuove e in cui, peraltro, la bocciatura della Corte è su aspetti formali e procedurali (errori nel processo di notifica all’UE).

Si è contestato all’Italia di aver adottato detti divieti “troppo presto”, ossia prima che l’UE stessa prevedesse i divieti con la direttiva shopper 2015/720.

“Ce l’aspettavamo – commenta Luca Bianconi, Presidente di Assobioplastiche – ma, per sgombrare il campo da equivoci, è bene sottolineare che la sentenza riguarda il “vecchio” ordinamento.

La normativa europea sugli imballaggi è, com’è noto, nel frattempo positivamente evoluta e ora c’è la direttiva shopper, che consente i divieti e obbliga gli Stati a intervenire sui sacchetti. Il decreto ministeriale del 2013 contestato non c’è più e c’è una nuova normativa di recepimento della direttiva shopper, che non è messa in discussione dalla sentenza.

Ci tengo a precisare, quindi, che l’attuale normativa sulle bioplastiche che recepisce la direttiva shopper del 2015 è perfettamente in vigore avendo seguito tutte le procedure previste. Purtroppo, quando non si riescono a trovare elementi di sostanza contro normative pioniere che hanno anticipato l’evoluzione stessa del diritto europeo, ci si appella a forma e procedure. Ci siamo abituati, ma i fatti sono dalla nostra parte”.

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