La cura del territorio come modello di sostenibilità. Problemi e soluzioni nel caso di Anthemis Environment

Il dissesto idrogeologico è un tema rilevante per l’Italia a causa degli impatti sulla popolazione, sulle infrastrutture e sul tessuto economico e produttivo

  • Situazione e gestione del dissesto idrogeologico a livello nazionale
  • Come l’essere umano influisce sul dissesto
  • Mitigazione dei rischi in ambito urbano e extraurbano
  • Caso di pianificazione gestito da Anthemis Evironment

Dei 5.890 milioni di euro messi a disposizione per gli interventi per il dissesto idrogeologico dagli accordi di programma del 2010 in avanti, le regioni hanno speso a oggi solo il 26,3% (1.531 milioni). Farraginosi meccanismi di approvazione, carenze di progettazione e lentezze nell’esecuzione degli interventi rallentano già il primo passaggio del percorso.

Il dissesto idrogeologico costituisce un tema di particolare rilevanza per l’Italia a causa degli impatti sulla popolazione, sulle infrastrutture lineari di comunicazione e sul tessuto economico e produttivo.

L’ultimo “Rapporto sul Dissesto Idrogeologico” curato da ISPRA (2018) ha evidenziato come 7.275 comuni (91% del totale) siano a rischio per frane e/o alluvioni, mentre il 16,6% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità: 1,28 milioni di abitanti sono a rischio frane e oltre 6 milioni di abitanti a rischio alluvioni.

I fenomeni di dissesto sono estremamente diffusi in Italia, anche tenuto conto che il 75% del territorio nazionale è montano o collinare; delle circa 900.000 frane censite nelle banche dati dei paesi europei (Herrera et al., 2018), quasi i 2/3 sono contenute nell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI) realizzato dall’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome. Il 28% delle frane italiane sono fenomeni a cinematismo rapido (crolli, colate rapide di fango e detrito), caratterizzati da velocità elevate, fino ad alcuni metri al secondo, e da elevata distruttività, spesso con gravi conseguenze in termini di perdita di vite umane, come ad esempio in Versilia (1996), a Sarno e Quindici (1998), in Piemonte e Valle d’Aosta (2000), in Val Canale – Friuli Venezia Giulia (2003), a Messina (2009), a Borca di Cadore (2009), in Val di Vara, Cinque Terre e Lunigiana (2011), in Alta Val d’Isarco (2012) e a San Vito di Cadore (2015).

Come l’essere umano influisce sul dissesto

Le cause del dissesto idrogeologico sono di varia natura, legate principalmente all’attività antropica; il crescente consumo di suolo avvenuto nel corso degli anni, con la conseguente antropizzazione sempre più spinta del territorio, ha portato infatti a processi quali la deforestazione e l’impermeabilizzazione del suolo per la localizzazione di infrastrutture e strutture residenziali e produttive, causando una sua maggiore erodibilità e, di contro, una riduzione delle caratteristiche di permeabilità.

A tale situazione si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici in atto che, con intense precipitazioni in brevi periodi di tempo, le cosiddette bombe d’acqua (termine giornalistico coniato dai mass media italiani come libera traduzione dell’inglese cloudburst, letteralmente “esplosione di nuvola”) contribuiscono all’aumento del rischio, con conseguenze spesso disastrose.

Differenti sono gli ambiti nei quali intervenire per la riduzione del rischio, in modo da andare oltre alla mera esecuzione di interventi atti a risolvere situazioni emergenziali o già molto critiche.

Di fondamentale importanza risulta essere il controllo dello sviluppo territoriale ed urbano, secondo logiche indirizzate verso la corretta pianificazione, in modo da non costruire in zone ad elevato rischio. Ciò può essere realizzato tramite il riutilizzo delle aree già edificate ed ora in disuso per nuove edificazioni ed attraverso il ripristino delle aree a verde.

Cosa fare nei centri urbani

Nei contesti urbani risulta infatti importante la gestione delle acque meteoriche, a causa delle estese superfici costruite e cementificate che impediscono il loro drenaggio corretto, provocando ad esempio allagamenti. Per tale motivo è opportuno costruire correttamente, considerando l’eventuale variazione del rischio che può ipoteticamente essere dovuta alla realizzazione di un’opera; ad esempio ciò può essere effettuato con una corretta progettazione del verde urbano e tramite l’utilizzo di materiali idonei come le pavimentazioni drenanti.

Si porta come esempio il progetto della riqualificazione ambientale e paesaggistica della Piazza Comunale di Fontanetto Po eseguito da Anthemis Enviornment S.r.l., società dell’hinterland torinese che da più di un decennio si occupa di progettazione ambientale, dove è stato sostituito l’asfalto di parte della Piazza con una pavimentazione totalmente drenante utile alla gestione delle acque e all’approvvigionamento idrico delle nuove aree verdi.

Nei territori rurali, ove sta avvenendo lo spopolamento della montagna, è invece maggiormente necessaria la pianificazione degli interventi di gestione e cura del territorio, inclusa una regolare manutenzione. L’ambiente montano è infatti, a partire dal dopoguerra, stato sottoposto a fenomeni di spopolamento e mutamento dell’economia, con l’abbandono di forme di sussistenza fortemente legate all’agricoltura ed al micro-allevamento ed il ripiego sulle più remunerative economie di fondovalle, di tipo industriale e manifatturiero. Tali forme di abbandono del territorio hanno condizionato la difesa attiva e diffusa derivante dal corretto utilizzo agro-forestale del bosco e delle aree coltivate.

Caso della Regione Piemonte

Esempio di pianificazione degli interventi per l’intero panorama nazionale è il caso della Regione Piemonte, in cui i Comuni montani, supportati dalle ex Comunità Montane (ora Unioni Montane), hanno indirizzato la Regione affinché, tramite la L.R. 13 del 20 gennaio 1997, fosse disposto che l’Autorità d’Ambito (ente di governo cui è trasferito l’esercizio delle competenze spettanti agli Enti Locali per l’organizzazione del servizio idrico integrato, compresa la programmazione delle infrastrutture idriche) destini una quota della tariffa, non inferiore al 3% per cento, alle attività di difesa e tutela dell’assetto idrogeologico del territorio montano. I suddetti fondi sono assegnati alle Unioni Montane sulla base di accordi di programma per l’attuazione di specifici interventi connessi alla tutela e alla produzione delle risorse idriche e delle relative attività di sistemazione idrogeologica del territorio”.

Sicuramente l’esperienza piemontese può essere d’esempio, viste le criticità evidenziate a livello nazionale” afferma la dottoressa forestale Marina Vitale, titolare di Anthemis Environment, “ma si tratta di uno strumento che può essere comunque migliorato: sono attualmente favorite infatti le realtà che possono godere di maggiori entrate derivanti dalla bollettazione. Inoltre così risulta maggiormente limitato il sostegno alle realtà di fondovalle densamente urbanizzate, ove i corsi d’acqua minori possono comunque costituire fonte di grave rischio”.

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