Cosa c’entra la crisi idrica con la protesta davanti al più grande stabilimento italiano di Coca Cola

Blitz davanti alla principale sede italiana di Coca Cola: qualche giorno fa un gruppo di attivisti per l'ambiente e per i diritti dei lavoratori ha organizzato una protesta per denunciare le gravi politiche di privatizzazione dell'acqua che, anche in piena emergenza siccità, resta monopolio delle aziende private

L’acqua è una risorsa vitale e in questo momento di grave siccità stiamo riscoprendo il suo ruolo prezioso. E mentre gli agricoltori sono in ginocchio, le autorità italiane invitano i cittadini a limitarne il consumo e i sindaci firmano ordinanze anti-spreco, ci sono aziende che ne sfruttano davvero troppa per fare profitti.

Fra le tante spicca Coca Cola, azienda che è finita nel mirino di una protesta organizzata qualche giorno fa dagli attivisti per l’ambiente del movimento Rise Up 4 Climate Justice, insieme al sindacato Adl Cobas e ad alcuni centri sociali. 

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Lo scorso sabato, infatti, il guppo di manifestanti si è riunito a Nogara (un provincia di Verona), davanti ai cancelli del più grande stabilimento italiano di Coca Cola per denunciare le politiche di privatizzazione di un bene comune che, anche in piena emergenza siccità, resta monopolio delle aziende private, mentre la popolazione si ritrova ad utilizzarla con parsimonia.

Lo stabilimento della Coca Cola di Nogara (VR) è uno dei più limpidi esempi di estrattivismo nel nostro Paese. La fabbrica – già nota per condizioni di sfruttamento e precarietà a cui sono sottoposti lx lavoratorx – ogni anno utilizza quasi un miliardo e mezzo di litri d’acqua dalla vicina falda acquifera, pagando un prezzo poco più che simbolico alla Regione Veneto. – hanno spiegato gli ambientalisti di Rise Up 4 Climate Justice – Tutto grazie a concessioni che la stessa regione non ha mai voluto rinegoziare: meno di due anni fa un decreto del direttore della Direzione Ambiente rinnovava a tempo indeterminato l’uso delle derivazioni di acque sotterranee.

Per gli attivisti la situazione è inammissibile: in una fase estremamente delicata, caratterizzata da razionamenti idrici a causa ella siccità, la multinazionale continua a estrarre, sfruttare, produrre e incassare denaro.

Nulla di più iniquo e diseguale, eppure si continua a non prendere alcun provvedimento.  – rincara la dose il movimento Rise Up 4 Climate Justice – È la medesima logica “dell’emergenza”, che scarica verso il basso costi e responsabilità della crisi, che abbiamo visto palesarsi più volte negli ultimi anni, dalla pandemia alla guerra, passando per il “cambio” di modello energetico.

Forse è questa la “transizione” che hanno in mente i governi e le multinazionali: un nuovo grande terreno di accumulazione, a discapito di quella fetta di popolazione povera che si è fatta sempre più grande. E questo avviene nonostante 11 anni fa un referendum ha sancito che non ci potesse essere più alcun margine di business per l’acqua e che qualsiasi scelta sul servizio idrico dovesse passare attraverso il pieno controllo democratico. Non solo questo non è mai avvenuto, ma il trand a cui stiamo assistendo è l’esatto opposto: l’acqua sta diventando il simbolo della negazione della democrazia.

La manifestazione di sabato è stata piuttosto movimentata e non sono mancati gli scontri con la polizia, intervenuta a suon di manganellate. Ma gli attivisti non si sono arresi e un paio di giorni dopo hanno voluto accendere i riflettori sulla questione, mostrando uno striscione sul palco del Sherwood Festival, a Padova:

Coca Cola è soltanto una delle diverse multinazionali (fra cui c’è anche il gruppo Nestlè, che  ha annunciato di voler realizzate un nuovo polo di imbottigliamento di oltre 37 mila metri quadri in provincia di Padova) presenti sul territorio che sfruttano un bene comune a scopi industriali, aggravando l’attuale crisi idrica.

E per gli attivisti e il sindacato Adl Cobas si tratta di uno scenario assolutamente ingiusto. Motivo per cui hanno annunciato che continueranno con le loro manifestazioni per difendere l’acqua, un bene essenziale per la vita, che dovrebbe restare pubblico.

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Fonti: Rise Up 4 Climate Justice/Adl Cobas 

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