Squid Game: la serie coreana che spopola su Netflix ci sbatte in faccia il lato più oscuro e drammatico del capitalismo

Squid Game è la serie più vista su Netflix. I temi che tratta sono crudi e scottanti: il capitalismo più estremo e le disuguaglianze sociali

Se non l’avete già vista, probabilmente in questi giorni avrete quanto meno sentito parlare di Squid Game, serie che in poco tempo ha spopolato su Netflix e sta per diventare la più vista di sempre. Ma quali sono i motivi di questo enorme ed inaspettato successo?

Attualmente la serie coreana Squid Game è la più importante e seguita su Netflix in 90 paesi. Realizzata in realtà nel 2009 dallo scrittore e regista Hwang Dong-hyuk, in queste ultime settimane, veicolata dalla nota piattaforma di streaming, sta ottenendo un successo straordinario che porta con sé però anche uno strascico di discussioni e polemiche, considerando i temi che tratta. Al momento, però, non è ancora disponibile in versione italiana ed è possibile guardarla in lingua originale o doppiata in inglese.

Protagonisti della storia sono persone, o meglio concorrenti, di una serie di giochi ai quali partecipano per ottenere soldi ma, un po’ come era avvenuto per Hunger Game, devono combattere fino alla morte per poter vincere, mentre ricchi VIP guardano affascinati questa cruenta battaglia.

I concorrenti, 456 persone che vivono con debiti oppressivi, vengono selezionati da uomini mascherati per prendere parte ad una serie di giochi per bambini (ad esempio 1,2,3 Stella), con la promessa di un grande premio in denaro che potrebbe cambiare le loro vite. Ma, perché c’è un ma, i giochi hanno tutti delle modifiche mortali per i perdenti. La gara dunque è ad alto rischio e il prezzo del fallimento è estremo.

Al centro di tutto c’è Seong Gi-hun, un autista dedito al gioco d’azzardo e all’autosabotaggio, nella cui storia vediamo grandi e piccole umiliazioni tipiche dalla moderna società capitalistica: la sensazione che il valore della persona sia strettamente legato alla produttività, il pensiero malato che una volta conquistata la ricchezza si diventerà persone diverse e molto altro.

È tutta finzione? In teoria sì, ma la metafora è da subito molto chiara. Squid Game rispecchia infatti perfettamente la parte peggiore della nostra società, esplorando temi come la lotta di classe, il capitalismo più estremo e l’ansia economica, attraverso una competizione sanguinaria e drammatica. E tra l’altro, sembra anche che i messaggi contro il capitalismo, siano stati un po’ “annacquati” nella traduzione inglese.

Al di là delle sfumature, comunque, la serie il “gioco del calamaro” (traduzione del titolo dal coreano) descrive gli orrori che crea una esistenza vissuta sotto un capitalismo in fase avanzata ma, ovviamente, e questo è ciò che le viene criticato da qualcuno, non fa in realtà molto per immaginare una soluzione a questi orrori (ma dovrebbe farlo una serie televisiva?).

La forza della serie, comunque, è il fatto di riuscire a coinvolgere fin da subito, immergendo gli spettatori in un mondo ripugnante ma allo stesso tempo avvincente, in cui vivono cattivi mascherati e sfortunati antieroi di cui si scopriranno piano piano il passato e le sorti future.

Le emozioni dei protagonisti, poi, persone disperate disposte a tutto pur di uscire dal proprio inferno, sono familiari agli spettatori in Corea, dove i debiti sono in aumento ma rispecchiano anche un problema globale, aggravato tra l’altro dall’arrivo della pandemia. Insomma è facile per chi guarda la serie immedesimarsi nei problemi dei protagonisti, persone simili a tante altre che potremmo aver incontrato nella nostra vita (se non a noi stessi).

I giochi sono inventati,  Squid Game è un dramma ma ha la capacità di esplorare delle tematiche scottanti e sempre attuali come il peso dei debiti e la disuguaglianza sociale. La serie coreana sta quindi spopolando proprio grazie alla sua atmosfera spietata e alla capacità di saper fotografare la parte più oscura della nostra società.

Siamo qui semplicemente per darti una possibilità“, dicono i cattivi mascherati, ma quello che comporta quella “possibilità” è qualcosa che, purtroppo, conosciamo tutti (più o meno) da vicino. 

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