Il cellulare causa davvero i tumori al cervello? Secondo il Tribunale di Ivrea sì

Il cellulare può provocare tumori, almeno secondo il Tribunale di Ivrea, che ha condannato l’Inail a risarcire con una rendita vitalizia Roberto Romeo, dipendente di Telecom, che per anni è stato costretto per motivi di lavoro ad usare il cellulare anche 3-4 ore al giorno e al quale è stato poi diagnosticato un tumore

Il cellulare può provocare tumori, almeno secondo il Tribunale di Ivrea, che ha condannato l’Inail a risarcire con una rendita vitalizia Roberto Romeo, dipendente di Telecom, che per anni è stato costretto per motivi di lavoro ad usare il cellulare anche 3-4 ore al giorno e al quale è stato poi diagnosticato un tumore. La sentenza segue un’altra firmata dal Tribunale di Firenze, che ha condannato l’Inail ad un’analoga pena.

La sentenza 96/2017 del Tribunale di Ivrea, pubblicata lo scorso 30 marzo, parla chiaro: “Il giudice del lavoro Dr. Luca Fadda […], in parziale accoglimento del ricorso, dichiara che Romeo Roberto è affetto da una malattia professionale che ha comportato un danno biologico permanente del 23%.

Il tumore diagnosticato a Roberto Romeo è un neurinoma del nervo acustico, fortunatamente di natura benigna, ma che comunque deve essere asportato, causando, di fatto, la completa sordità all’orecchio interessato.

LA STORIA

La storia parte da lontano: già nel 2012, due anni dopo la diagnosi (arrivata il 22 dicembre 2010, a cui è seguito l’intervento il 29 novembre 2011), iniziava la pratica per il riconoscimento della malattia professionale, inoltrata all’Inail e da questa a Telecom, per concludere però il 13 marzo 2013 con un’archiviazione del caso.

“Gli accertamenti effettuati per il riconoscimento della malattia professionale consentono di escludere l’esistenza di nesso causale tra il rischio lavorativo cui è stato esposto e la malattia denunciata”, si legge infatti nelle osservazioni fatte dalla difesa.

Ma il dipendente non si è fermato e ha inoltrato un ricorso, che ha portato alla “scoperta” che effettivamente Telecom nel 19915 aveva iniziato a fornire telefoni cellulari ai suoi dipendenti, e che gli apparecchi venivano utilizzati dai dipendenti nei centri di lavoro per comunicare con i tecnici che si trovavano presso i clienti al fine di dare loro indicazione sui guasti e sui clienti, oltre che il supporto tecnico e di materiali da reperire in magazzino.

E su questo la stessa difesa precisa dato non confermato dalla ditta, ma confermato dai testimoni, e che coincide con le dichiarazioni di Romeo, che, per un motivo o per un altro, si è trovato a dover usare l’apparecchio per 3-4 ore al giorno, a lavoro e in macchina, per almeno 15 anni. Un uso che, a prescindere da tutto, sembra essere del tutto scorretto e fuori misura.

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GLI STUDI SCIENTIFICI

Sulle relazioni tra il telefono cellulare e i tumori la comunità scientifica è piuttosto divisa. L’apparecchio emette microonde, radiazioni non ionizzanti, quindi non pericolose nell’immediato, ma comunque in grado di interagire con i sistemi biologici. Le microonde, infatti, sono assorbite da molti composti chimici naturali, tra i quali la stessa acqua.

Lo Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) classifica tali radiazioni come 2B, ovvero ‘possibili cancerogeni per gli esseri umani’, da cui il monito ad usare l’apparecchiatura con cautela.

Sulla cautela ovviamente i confini non sono molto definiti. Sicuramente la telefonata comporta un incremento di intensità del picco di radiazioni che porta anche a quintuplicarne il valore “stand-by”, così come, ma in misura minore, l’invio di un sms.

Per saperne di più sui possibili rischi di un uso scorretto del telefono cellulare leggi anche:

A prescindere da tutto, la sentenza di Ivrea entrerà comunque nella giurisprudenza e senza dubbio diventerà una pietra miliare per il riconoscimento di alcune “forzature” sul lavoro, e che – ci auguriamo – sia di allerta per tutta la popolazione, nonché per i governi, che potrebbero essere “costretti” a legiferare in merito.

Roberta De Carolis

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