Cannabis: gli scienziati hanno scoperto per quanto rimane tracciabile il THC nel corpo (e la risposta ti scioccherà)

Scoperta rivoluzionaria nel campo dell'archeologia: per la prima volta, composti psicoattivi della cannabis sono stati rilevati nelle ossa umane del XVII secolo a Milano, rivelando abitudini storiche di consumo

Sai quanto tempo la cannabis rimane nel tuo corpo?

Un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori ha portato alla luce una scoperta archeologica di rilievo: la prima prova concreta che i composti psicoattivi della cannabis, come il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD), possono persistere nelle ossa umane ben oltre la morte. Questa evidenza proviene dall’analisi di resti scheletrici risalenti al XVII secolo, trovati a Milano.

Originariamente, gli studiosi miravano a identificare segni di uso di piante a scopi medicinali o ricreativi nella popolazione milanese del XVII secolo. Hanno concentrato i loro sforzi sui resti umani rinvenuti nella cripta della Ca’ Granda dell’Ospedale Maggiore, uno degli istituti ospedalieri più all’avanguardia dell’epoca in Europa. Dal 1638 al 1697, i defunti dell’ospedale venivano sepolti in questa cripta, i cui reperti sono rimasti sigillati fino a recenti scavi, rendendoli ideali per tale studio. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Archaeological Science.

In una precedente ricerca dello stesso team, furono rinvenute tracce di oppio in campioni di ossa craniche e tessuto cerebrale ben conservato. Questo ha spinto gli autori a estendere la loro indagine ai femori, ossa lunghe prelevate dai resti umani della cripta, per esaminare la presenza di sostanze associate all’uso di piante medicinali o ricreative. Gaia Giordano dell’Università di Milano, capo ricercatrice, e il suo team hanno estratto campioni di ossa dai resti di nove individui sepolti nella Ca’ Granda. Hanno poi adottato un metodo di analisi tossicologica avanzato, polverizzando le ossa e preparando i campioni per isolare e purificare i composti chimici individui, successivamente identificati tramite spettrometria di massa.

I risultati dello studio

L’analisi ha rivelato la presenza di THC e CBD nelle ossa della coscia di un uomo e una donna, suggerendo che queste molecole sono rimaste intrappolate dopo essere state assorbite nel flusso sanguigno e nei vasi sanguigni del tessuto osseo. I risultati indicano chiaramente l’uso di cannabis nella popolazione di Milano in quell’epoca, segnando il primo ritrovamento di cannabis in resti osteologici umani storici e archeologici. Interessante notare che, nonostante l’uso comune della cannabis tra gli antichi greci e romani, la pianta non era popolare in Europa occidentale durante il Medioevo, ed era addirittura proibita da un editto papale nel 1484.

Inoltre, la cannabis non compare nella farmacopea dell’ospedale, suggerendo che non veniva somministrata ufficialmente, e che l’uso potrebbe essere stato a scopo ricreativo, per auto-medicazione o tramite somministrazione di guaritori esterni all’ospedale. Questa ricerca rappresenta un’innovazione nel campo dell’archeotossicologia, essendo il primo studio che utilizza questa metodologia per analizzare resti umani in un contesto archeologico. I dati analitici offrono nuove prospettive sulle abitudini della popolazione di Milano del XVII secolo, aprendo la strada a ulteriori ricerche sulle pratiche storiche legate all’uso di piante medicinali e ricreative.

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Fonte: Journal of Archaeological ScienceUniversità degli Studi di Milano

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