Tumori: i ricercatori italiani scoprono la proteina che innesca il cambiamento delle cellule cancerose

Alcuni ricercatori per la prima volta hanno individuato il rapporto tra due proteine: se sbilanciato, si attiva il processo tumorale.

Due proteine sbilanciate e il tumore si innesca. È la conclusione cui sono giunti alcuni ricercatori italiani che per la prima volta hanno individuato il rapporto tra due proteine: se sbilanciato, si attiva il processo tumorale. La scoperta apre la strada a terapie che bloccano il sistema di difesa delle cellule malate.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, è stato condotto al Bambino Gesù di Roma in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata e altri Centri di ricerca europei e statunitensi, e fa luce sul ciclo di divisione cellulare e su che cosa regola la vita della Ciclina D, una molecola essenziale nella divisione delle cellule.

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L’interruttore che accende e spegne l’attività della Ciclina D è una proteina chiamata Ambra1: quando non funziona prende piede un processo che porta poi alla formazione di tanti tipi di tumore.

Lo studio

Gli studiosi sono partiti dalla conoscenza del ciclo cellulare, che consiste in una serie di eventi concatenati che porta alla divisione delle cellule e attraverso cui da un ovulo fecondato si formano le cellule di tutto l’organismo, così come il processo mediante il quale le cellule della pelle, del sangue e degli organi vengono rinnovate. Questo ciclo è regolato dalle Cicline, un gruppo di proteine classificate con le lettere A, B, C, D e così via: ciascuna di esse compie un pezzo del lavoro di divisione cellulare e vengono prodotte e distrutte in una precisa alternanza, fino alla nascita delle cellule figlie. Di queste molecole era già quasi del tutto noto il meccanismo di regolazione, tranne – sino ad oggi – della Ciclina D. Con lo studio coordinato dal Bambino Gesù è stato  definito l’intero percorso.

La ricerca è stata condotta con una combinazione di tecniche avanzate (imaging, microscopia, fluorescenza, ingegneria genetica, biochimica, istologia), partendo dall’intuizione di un possibile ruolo di Ambra1 in alcuni difetti del ciclo cellulare. I ricercatori hanno infatti notato che in caso di assenza o di scarsa quantità di Ambra1, la Ciclina D non viene distrutta come dovrebbe e quindi va ad accumularsi. A causa di questo accumulo, le cellule cominciano a dividersi a velocità incontrollata, il DNA si danneggia e si innesca la formazione di masse tumorali.

La possibile terapia?

Non essendo disponibili, ad oggi, farmaci in grado di agire direttamente sulle due proteine per ripristinarne la giusta quantità, i ricercatori hanno individuato una soluzione alternativa che sfrutta uno dei punti deboli delle cellule tumorali: il sistema di riparazione.

La grande velocità con cui le cellule cancerose si dividono genera una serie di errori nel loro DNA che vengono via via corretti da un sistema di enzimi (presente in tutte le cellule del corpo umano) che consente loro di sopravvivere e proliferare. Se il processo di riparazione viene però inibito, le cellule malate accumulano così tanti difetti da andare incontro all’autodistruzione.

Secondo i ricercatori, insomma strategia di cura, già utilizzata per il trattamento di alcuni tipi di tumore dell’uomo, potrebbe essere applicata anche ai pazienti con la combinazione Ambra1 – Ciclina D alterata.

L’idea è che ai pazienti a cui sia stato diagnosticato un cancro, vengano esaminati anche i livelli di Ambra1 e Ciclina D – conclude Francesco Cecconi, professore ordinario di Biologia dello Sviluppo all’Università di Roma Tor Vergata e ricercatore del Bambino Gesù -. Qualora l’assenza o bassi livelli di Ambra1 in associazione ad un accumulo di Ciclina D venga individuata nelle cellule tumorali, si potrebbe provare a sopprimere con farmaci specifici, già noti in terapia, la capacità delle cellule tumorali di riparare il materiale genetico. Se potessimo così limitarne la riparazione, potremmo puntare ad uccidere le cellule tumorali, sfruttando il loro tallone d’Achille, ovvero quella stessa instabilità genomica che le ha indotte a proliferare”.

Fonti: Nature / Ospedale Bambino Gesù

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