Carciofo: arma naturale contro il tumore da amianto?

Partita la sperimentazione di un nuovo composto a base di carciofo per prevenire la comparsa di tumori da amianto in persone ad alto rischio

Tumore. Una delle parole che ci fa più paura e che non vorremmo mai sentire pronunciare dal nostro medico di fiducia. Si è visto come la prevenzione sia un mezzo che tutti abbiamo a disposizione per scongiurare questa malattia: mangiare sano, fare attività fisica, evitare fumo e alcool sono sicuramente buone abitudini per evitare la comparsa di alcune tipologie di tumori.

Di tutto questo e di tanto altro si è parlato a Roma all’International Workshop on metabolism, diet and chronic disease dove è stata presentata anche un’interessante sperimentazione su un prodotto a base di carciofo che sarebbe utile nella prevenzione del mesotelioma, il cosiddetto tumore da amianto ovvero quel cancro che tendono a sviluppare le persone che per lungo tempo sono state costrette a lavorare o vivere a contatto con questo materiale estremamente pericoloso.

Putroppo ogni anno in Italia si registrano circa 2000 casi di tumore provocati dall’amianto ma, secondo gli esperti, i numeri sono destinati a salire fino al 2020 quando si teme un picco. La ricerca però si sta muovendo per cercare di arginare il fenomeno ed ha già preso il via, grazie alla collaborazione tra l’istituto Regina Elena e la Mc Master University di Hamilton (Canada), la sperimentazione di un nuovo composto che sfrutta i principi naturali presenti nelle foglie del carciofo e che sarà somministrato a persone ad alto rischio mesotelioma.

Molto soddisfatta della ricerca si è mostrata la dottoressa Sabrina Strano, dell’Area di Medicina Molecolare del Regina Elena: “Nel nostro studio sperimentiamo, primi al mondo, la chemioprevenzione con una sostanza naturale e dal costo contenuto. Se le nostre intuizioni venissero confermate, apriremmo la strada a una rivoluzione”.

Questo farmaco a base di carciofo infatti “impedisce che le cellule esposte ad amianto esprimano a pieno il potenziale cancerogeno, prolifichino e diano luogo effettivamente al tumore” spiega Paola Muti, ricercatrice presso il Dipartimento di Oncologia della McMasterUniversity.

Le premesse dunque sono buone ma bisogna vedere se tutto questo funzionerà effettivamente sui pazienti presi a campione.

Francesca Biagioli

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