Cannabis: il cannabidiolo (CBD) può ridurre il rischio di psicosi. Lo studio

Un nuovo studio di imaging cerebrale dimostra che più CBD è presente in un ceppo di cannabis più ha effetti terapeutici nella cura delle psicosi.

Più cannabidiolo (CBD) è presente in un ceppo di cannabis, minore è la compromissione della funzionalità cerebrale nei pazienti affetti da psicosi. Secondo un nuovo studio di imaging cerebrale, infatti, nella “quota” di cannabidiolo vi sarebbe un meccanismo protettivo che potrebbe anche aiutare a “curare disturbi come la psicosi e le dipendenze”.

È quanto emerge da una ricerca condotta da un team dell’University College di Londra, secondo cui l’aumento dei livelli di CBD potrebbe fungere da “cuscinetto” agli effetti negativi di gravi condizioni di salute mentale.

Per lo studio, è stata utilizzata per la prima volta l’fMRI, la risonanza magnetica funzionale, valutando in che modo le diverse proporzioni della cannabis influiscono sul funzionamento del cervello.

“Negli ultimi vent’anni, i tassi di dipendenza e psicosi legati alla cannabis sono aumentati, mentre allo stesso tempo sono diventati sempre più comuni ceppi di cannabis con più THC e meno CBD”, ha affermato l’autore principale dello studio, Matt Muro (UCL Clinical Psychopharmacology Unit e Invicro). Abbiamo ora scoperto che CBD sembra aiutare il paziente contro alcuni degli effetti acuti del THC sul cervello”.

Lo studio

Il CBD o cannabidiolo è uno dei tanti composti presenti nella cannabis. A differenza del THC, il CBD non produce effetti psicoattivi ed è stato ampiamente studiato dalla comunità scientifica, che è arrivata a dimostrare che è in grado di trattare una vastissima gamma di malattie.

Ora, lo studio inglese mira a capire meglio l’interazione tra THC e CBD e per questo ha monitorato l’attività cerebrale a riposo di 17 persone dopo aver preso diversi ceppi di cannabis.

I due ceppi avevano livelli uguali di tetraidrocannabinolo (THC), ma diversi livelli di CBD. Dai risultati è emerso che il ceppo a basso contenuto di CBD aveva compromesso la connettività funzionale nella modalità predefinita del cervello e le reti di salienza (quelle che permettono di orientarsi tra stimoli esterni ed interni, focalizzando nel modo corretto l’attenzione), mentre il ceppo ad alto contenuto di CBD ha causato solo una minima interruzione in queste regioni, suggerendo che il CBD contrasta alcuni degli effetti dannosi del THC.

La rete di salienza supporta altre reti cerebrali e determina a quali input sensoriali o emotivi prestiamo attenzione. Le interruzioni della rete sono state precedentemente implicate nella dipendenza e nella psicosi.

I ricercatori hanno anche scoperto che l’interruzione di connettività funzionale prodotta dal THC nella regione del cervello chiamata corteccia cingolata posteriore era fortemente correlata alle relazioni delle esperienze soggettive dei partecipanti, suggerendo che l’area del cervello può essere centrale nella guida degli effetti soggettivi della cannabis. Questa relazione tra la corteccia cingolato posteriore e gli effetti soggettivi è stata anche bloccata dal CBD.

Secondo i ricercatori, i loro risultati aggiungono prove che i ceppi di cannabis con maggiore contenuto di CBD possono essere meno dannosi,

“dato che la cannabis sta diventando legale in più parti del mondo, le persone che acquistano cannabis dovrebbero essere in grado di prendere una decisione informata sulla scelta del tipo di cannabis ed essere consapevoli dei relativi rischi”.

Per gli autori, quindi, tutto ciò non fa che evidenziare la capacità del cannabidiolo di riportare l’attività cerebrale al normale funzionamento, a dimostrazione ancora una volta dei suoi effetti terapeutici. Se il CBD può ripristinare le funzioni di alcune aree del cervello, questo potrebbe essere un meccanismo neuroprotettivo anche nel trattare disordini come la psicosi e contro le dipendenze.

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Germana Carillo

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