Cosa si nasconde dentro una scatoletta di tonno?

Sappiamo davvero cosa è contenuto nelle scatole di tonno che acquistiamo? Greenpeace denuncia la scarsa trasparenza delle etichette. Ma cosa ci sta dietro?

Quando apriamo una scatoletta di tonno, siamo davvero sicuri di ciò che stiamo per mangiare? È la domanda che si è posta l’associazione ambientalista Greenpeace che nel suo nuovo rapporto “I segreti del tonno. Cosa si nasconde in una scatoletta?” affronta il problema del tonno in scatola, o almeno di quello che crediamo sia tonno.

Secondo Greenpeace, infatti, una prima pecca delle scatolette è la scarsa trasparenza. Dopo aver condotto un monitoraggio in 173 punti vendita, la scorsa estate, sulle etichette di oltre 2mila lattine di tonno, l’associazione ha chiarito un punto: i consumatori sanno poco o nulla riguardo a quello che si apprestano a comprare (e a mangiare).

Fate la prova. Aprite la dispenza e provate a leggere cosa c’è scritto sulla scatoletta. Noi ci abbiamo provato. Nella scatoletta di tonno all’olio di oliva, a parte gli ingredienti (tonno, olio d’oliva e sale) non troviamo altro. Anche su quella del tonno al naturale troviamo gli ingredienti (tonno, acqua, sale, estratto di lievito) ma null’altro.

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Ed ecco i dati di Greenpeace. Nella metà dei casi esaminati, non sappiamo assolutamente che specie di tonno abbiamo acquistato e solo il 7 per cento delle scatolette indica la provenienza. Silenzio assoluto sulla tecnica di pesca utilizzata, nel 97 per cento delle scatolette esaminate.

E volete sapere quali sono i marchi meno trasparenti secondo Greenpeace? MareAperto STAR, Maruzzella, Consorcio e Nostromo. Riomare, inoltre, non specifica mai area e metodo di pesca. Il sospetto degli ambientalisti, in quest’ultimo caso è che l’azienda voglia nascondere il fatto che usa metodi di pesca sostenibili solo nel 45 per cento dei suoi prodotti. Ma non si salva neanche Mareblu, che secondo Greenpeace è impegnata nella pesca sistemi FAD (Fish Aggregating Device – sistemi di aggregazione per pesci) sul mercato inglese.

Ma è così difficile garantire la trasparenza? Assolutamente no, se alcune aziende come AsdoMar, hanno iniziato a riportare il nome della specie, l’area di pesca e il metodo utilizzato.

Sappiamo tutti che la pesca del tonno, attualmente, è allo stremo, indiscriminata e molto spesso illegale, al punto da mettere a rischio l’ecosistema marino. Basti pensare che cinque delle otto specie di tonno di interesse commerciale sono a rischio, compreso il tonno pinna gialla, il più consumato in Italia.

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Siete curiosi di conoscere le tecniche con cui viene più spesso pescato il tonno in Italia? Con metodi distruttivi come i palamiti, le reti a circuizione con FAD, che causano ogni anno la morte di migliaia di esemplari giovani di tonno, tartarughe, squali, mante. Significativo il video di Greenpeace che documenta le conseguenze distruttive della pesca con i FAD. Il filmato è stato girato da un informatore dell’industria del tonno su un peschereccio coreano nell’Oceano Pacifico.

Sono trascorsi due anni dal lancio della campagna “Tonno in trappola” e la situazione non è migliorata – ha ribadito Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia – Se alcune aziende hanno aggiunto delle informazioni in più sulle etichette, la maggior parte dei prodotti non offre garanzie né sul tipo di tonno che portiamo in tavola, né sulla sostenibilità dei metodi con cui è stato pescato. Tutto fa pensare che le aziende produttrici stiano cercando di nascondere qualcosa“.

Continua: “Oggi i consumatori italiani sono complici senza saperlo della distruzione dei mari. In Inghilterra tutti i più importanti marchi hanno deciso di utilizzare solo tonno pescato in modo sostenibile, mentre in Italia non esiste ancora una scatoletta di tonno 100 per cento sostenibile. Cosa stiamo aspettando?“.

Già, cosa aspettiamo a salvare il tonno, sempre meno presente nei nostri mari? Per voi i 6 motivi per cui smettere di mangialo.

 

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