Coltivazione dei pomodori: la #filierasporca che macchia l’Italia

3 miliardi di euro l’anno, ecco quanto fattura l’industria del pomodoro in Italia, un mercato che si muove tra sfruttamento, insostenibilità ambientale e in cui non esiste indirizzo di filiera, ma solo singoli attori che si muovono attraverso strategie in solitaria.

3 miliardi di euro l’anno, ecco quanto fattura l’industria del pomodoro in Italia, un mercato che si muove tra sfruttamento, insostenibilità ambientale e in cui non esiste indirizzo di filiera, ma solo singoli attori che si muovono attraverso strategie in solitaria.

Arriva il terzo rapporto di #Filieracorta, la campagna promossa dalle associazioni daSud e Terra! che tenta di ricostruire il percorso dei prodotti agroalimentari che dai campi arrivano nelle nostre tavole.

Il titolo “Spolpati, la crisi dell’industria del pomodoro tra sfruttamento e insostenibilità”, non promette nulla di buono, nonostante l’approvazione della legge sul caporalato che da un lato riconosce il triste fenomeno, dall’altro ha un approccio repressivo che va a punire i colpevoli, ma non a prevenirlo.

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Gli autori del rapporto Fabio Ciconte, direttore di Terra! e il giornalista Stefano Liberti, ricostruiscono il sistema di produzione, trasformazione e commercializzazione del pomodoro e lo fanno analizzando il contesto pugliese, campano, emiliano e cinese.

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“Abbiamo dovuto ripercorrere i singoli anelli della filiera per risalire alle cause dello sfruttamento del lavoro e del caporalato e, contemporaneamente, indagare la sostenibilità ambientale e sociale di un comparto simbolico per il sistema Paese, da cui dipende parte della credibilità del made in Italy”, si legge nel rapporto.

Un viaggio lungo una filiera che rischia sempre più di trasformare il prodotto in una commodity, una merce standardizzata che perde peculiarità e qualità tipiche del luogo di produzione.

“Un prodotto pressoché uguale a quello che si può trovare in altre parti del mondo, dalla California alla Spagna, dalla Turchia alla Cina. E questo è un rischio per l’intero comparto, perché il punto di forza del made in Italy è proprio la qualità e la biodiversità, che varia da regione a regione dello stivale”.

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Le criticità della filiera

Il dossier mette in evidenza le criticità della filiera del pomodoro nel Sud Italia, un sistema malato che inizia proprio dai campi. Il 15% della raccolta è fatta da braccianti stranieri reclutati dai caporali, pagati a cottimo.

Abbiamo poi la scomparsa del pomodoro pelato dovuta alla mancanza di una filiera funzionante.

“Il pomodoro pelato è il simbolo più evidente della specificità italiana, perché è un prodotto che cresce solo nel Sud Italia. Nonostante questa unicità, i grandi attori della filiera – sia i produttori che gli industriali – assistono impotenti ai cali di produzione, determinati a loro avviso “dal mutamento delle abitudini alimentari dei consumatori”, si legge.

Ancora: “Se da una parte è vero che la velocità dei ritmi moderni rende meno attraente il pelato, è pur vero che la tendenza attuale di diffidenza da parte dei consumatori nei confronti dei prodotti trasformati giocherebbe a favore di un suo rilancio, in quanto prodotto che ha subito una minima trasformazione industriale e ha mantenuto intatto il rapporto con la materia prima da cui origina.

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Altro problema di base sono le aste online.

“Alcuni attori della grande distribuzione stabiliscono il prezzo prima della stagione mediante il cosiddetto meccanismo delle aste on-line con doppia gara al ribasso. Il sistema funziona così: viene convocata per e-mail una prima asta tra gli industriali, in cui si richiede un’offerta di prezzo per una certa commessa (ad esempio un tot di barattoli di passata e/o latte di pelati)”.

Gli industriali hanno una ventina di giorni per fare un’offerta. Raccolte le proposte, lo stesso committente convoca una seconda asta on-line, la cui base di partenza è l’offerta più bassa. Questa seconda asta on-line è nuovamente al ribasso e il tutto si svolge nel giro di un paio d’ore: vincerà chi farà l’offerta minore. Questo meccanismo, che somiglia in tutto e per tutto al gioco d’azzardo, pregiudica fortemente il funzionamento della filiera, sia per la rapidità con cui si svolge sia perché gli industriali vendono allo scoperto (le aste avvengono in primavera, quando la stagione non è cominciata né è stato chiuso il contratto tra produttori e industriali), ovvero quando non hanno ancora il pomodoro da trasformare.

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Quali sono le vie d’uscita?

4 passi per un pomodoro più sostenbile e pulito

UN MODELLO DI AGRICOLTURA SOSTENIBILE

“Non è attraverso la standardizzazione del prodotto, l’abbassamento della qualità e la conseguente diminuzione dei costi che si sanerà questa piaga ma, al contrario, tramite la qualità e investimenti innovativi. Per questo pensiamo che debba svilupparsi un piano per l’agricoltura del mezzogiorno che guardi ai giovani, offrendo loro terra e risorse”.

DALLA REPRESSIONE ALLA PREVENZIONE

“Per estirpare il fenomeno del caporalato alla radice, non è sufficiente una legge, per quanto avanzata sia, ma serve una reale azione politica e culturale in grado di rilanciare tutto il comparto. Chiediamo al Governo e al Parlamento di intervenire con misure preventive che modifichino e rendano trasparente la filiera agroalimentare, riducendo al minimo la possibilità che possano verificarsi fenomeni di sfruttamento”.

3) STOP ALLE ASTE ON-LINE

“Il meccanismo delle aste on-line, per quanto rispetti i termini di legge, ha l’effetto di strozzare la filiera, perché obbliga l’industria ad abbassare i prezzi e a rivalersi sull’agricoltore”.

4) RIFORMA DELLE ORGANIZZAZIONI DEI PRODUTTORI (OP)

“Sarebbero necessari interventi legislativi tesi a controllare l’operatività di queste OP e che incidano in particolare sui seguenti aspetti: stabilire un meccanismo di obbligatorietà nella condivisione dei rischi, interrompendo il meccanismo di vendita “per nome e per conto”; alzare l’asticella dei fatturati per ridurre la frammentazione, prevedere che la sede della OP sia situata nella Regione dove ha luogo la raccolta”.

E infine, contratti e una riforma della dichiarazione di manodopera agricola.

SCARICA QUI IL RAPPORTO

Dominella Trunfio

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