Verso una “nuova” scuola, ai tempi del coronavirus: l’Italia guarda all’educazione all’aperto per la riapertura

Educazione all'aperto. Paolo Mai, fondatore del primo asilo nel bosco italiano, ci spiega come potrebbe essere la "nuova" scuola, ai tempi del coronavirus

“Siamo fiduciosi che ciò accada, che l’educazione in natura diventi sempre più diffusa nella scuola italiana, come accade ormai da tempo in diverse zone del mondo, anche laddove il clima non è certo mite come da noi. È un bisogno dei bambini, è un approccio che ci permette tra l’altro di raggiungere con maggiore efficacia gli obiettivi tracciati dal ministero nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola”. Paolo Mai, fondatore del primo asilo nel bosco italiano, ci spiega come potrebbe essere la “nuova” scuola, ai tempi del coronavirus.

Il coronavirus ci ha costretti a ripensare agli spazi e al modo di insegnare, oggi più che mai. La scuola all’aperto potrebbe offrire un modello per l’istruzione in grado di garantire il distanziamento sociale e la pandemia, potrebbe spingere genitori e insegnanti, certamente all’estero e probabilmente anche in Italia, ad abbracciare l’educazione all’aperto, con i suoi tantissimi e ormai noti benefici.

In Italia, si parla di una parziale riapertura delle scuole e dei centri estivi a giugno, ma a settembre si dovranno fare i conti con situazioni prevedibilmente nuove, che potrebbero considerare gli spazi esterni come un modo per ottimizzare le distanze fisiche. Il coronavirus, quindi, potrebbe spingere genitori e insegnanti ad abbracciare i benefici dell’educazione all’aperto.

In questi mesi, infatti, la didattica a distanza ha mostrato tutti i suoi punti deboli, dallo scarso accesso alle tecnologie di alcune famiglie, all’assenza dei genitori, fino al mancato aggiornamento dei docenti. Senza considerare tutta la parte psico-emotiva di una presenza fisica dell’insegnante, fondamentale per l’apprendimento. La DAD non può essere una soluzione alternativa e a lungo termine.

Ma l’esperienza all’aria aperta fa già parte del “curriculum di eccellenza” dell’Italia. Per farci spiegare meglio qual è la strada che potrebbero prendere le scuole italiane, e come il modello outdoor potrebbe essere implementato, abbiamo intervistato il maestro Paolo Mai, fondatore e coordinatore dell’Asilo nel Bosco e della primaria Piccola Polis, che oggi fa parte della task force del “Piano scuola” di Roma, ai tempi del coronavirus.

“In tutta Italia finalmente la questione bambini sembra essere diventata una priorità per Istituzioni e società civile. Si stanno creando a livello nazionale e locale diversi gruppi di lavoro con lo scopo di fare fronte all’emergenza educativa scaturita dal Covid-19” ha detto Paolo Mai, fondatore del primo asilo nel bosco italiano.

Si tratta di un chiaro segnale di una maggiore attenzione per l’educazione all’aria aperta.

L’education outodoor è davvero applicabile a tutte le scuole italiane? 

Sono veramente poche le scuole in Italia che non hanno intorno un ambiente naturale. Anche in grandi città come Roma o Milano, con un piccolo lavoro logistico e organizzativo si possono sfruttare i diversi parchi che ci sono nel raggio al massimo di una decina di km. Auspichiamo, e siamo fiduciosi che accada  che l’educazione in natura diventi sempre più diffusa nella scuola italiana come accade ormai da tempo in diverse zone del mondo, anche laddove il clima non è certo mite come da noi. È un bisogno dei bambini, è un approccio che ci permette tra l’altro di raggiungere con maggiore efficacia gli obiettivi tracciati dal ministero nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola. L’andamento è rincuorante, solo 6 anni fa eravamo gli unici in Italia ora ci sono oltre 150 Asili nel Bosco, sia dentro che fuori la scuola statale e anche in ambito universitario è sempre maggiore l’interesse per questo approccio educativo che tra l’altro ha permeato di sé non poche teorie pedagogiche del passato da Rousseau, Froebel, Steiner, Montessori solo per fare qualche nome. In più penso che come società dobbiamo porci seriamente il problema della sostenibilità ambientale, di un rapporto diverso con la natura e strategicamente educare in natura è uno strumento potentissimo per i nostri scopi. Un bambino che vive in natura imparerà a conoscerla ad amarla e a difenderla.

2) Il vostro team fa parte della task force del “Piano scuola” di Roma. Come sarà secondo voi la scuola dell'(immediato) futuro?

Ci hanno chiamato chiedendoci di condividere la nostra esperienza e le nostre idee non solo per la gestione del momento, ma anche per edificare una nuova scuola per il futuro e questo ci rende felicissimi. Pensiamo che il sistema educativo italiano non sia adeguato, produca grandi danni e questo nonostante lo sforzo e la competenza di gran parte delle insegnanti italiane. Definire la scuola dell’immediato futuro non è un esercizio semplice poichè manca ad oggi un perimetro di riferimento chiaro entro cui progettarla. Nella task force ci saranno epidemiologi, virologi e tecnici vari cui spetta il compito di disegnare questo perimetro. Una volta fatto questo siamo fiduciosi di riuscire a fare il meglio possibile. L’unica certezza forse che abbiamo è che chiudere i bambini dentro le aule, come è stato nella norma sino ad ora, non sarà più possibile, perchè finalmente abbiamo capito che sono luoghi dove i virus si trasmettono con grande facilità e questo ci pare fantastico. Forse ci accorgeremo anche che un bambino felice ha un sistema immunitario che lavora al massimo del suo potenziale e a me pare evidente che in natura i bambini, trovando risposta a gran parte dei propri bisogni, siano veramente felici.

3) L’italia è pronta a questo modello scolastico anche culturalmente, al pari del Nord Europa? 

Siamo sempre più pronti, 6 anni fa ci prendevano per matti, ora ci chiamano a fare lezione all’Università e solo nell’ultimo mese quasi 2000 persone hanno partecipato ai nostri incontri formativi, segno chiaro di un sempre più diffuso interesse. Ovviamente siamo ancora distanti dal contesto culturale nordeuropeo dove vivere la natura è una piacevole normalità ma siamo convinti che ci arriveremo anche noi se faremo le cose con calma e cognizione. Qualsiasi cambio culturale richiede gradualità, per questo quando accompagniamo progetti sperimentali nella scuola statale  non modifichiamo radicalmente le loro abitudini ma facciamo assaggiare loro piano piano le virtù dell’educare all’aria aperta. Devo dire che già dopo un paio di settimane insegnanti e famiglie ci chiedono di intensificare il tempo vissuto in natura. D’altronde, e non me ne voglia nessuno, l’Italia là fuori ha l’aula più bella del mondo, custodiamo gran parte del patrimonio di biodiversità del pianeta ed è raro che in un territorio relativamente così piccolo ci siano tanti diversi ambienti naturali da esplorare e soprattutto di un’indecente bellezza.

4) Quali sono i principali punti deboli della DAD?

Pensare di utilizzare la DAD per un periodo prolungato a me pare proprio una follia. Oltre ad essere uno strumento discriminatorio essa crea un distacco emotivo che impedisce una buona comunicazione e dei buoni apprendimenti. Crediamo che ci siano altre modalità decisamente più funzionali ma anche qui il problema è culturale. Molti pensano al maestro come a quella figura che attraverso interminabili sermoni ti porta a conoscere un dato argomento e che poi ti dai dei compiti o delle verifiche per metterti un voto. In realtà, e le neuroscienze ce lo stanno dimostrando chiaramente dopo che la pedagogia l’ha gridato invano, non è questa la maniera giusta per attivare processi di apprendimento efficaci. Il maestro nella nostra scuola è una figura discreta che accende scintille, che stimola curiosità e che parla poco lasciando spazio ad un ruolo attivo dello studente. Durante un’ora di lezione parla al massimo 20 minuti e poi invita i bambini a fare esperienza diretta e ricercare e a farlo attraverso diverse prospettive quella artistica, quella letteraria, quella geografica, quella ecologica ecc ecc. Per fare questo non ci serve che i bambini stiano collegati diverse ore al computer, sarebbe sufficiente una lettera, un messaggio vocale, una mail. Detto questo ci auguriamo quanto prima che si ritorni ad incontrarci, la conoscenza, diceva Platone, è un processo erotico, si fonda su delle relazioni amorevoli e farlo a distanza ci pare proprio complicato.

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