Nasce Agritessuti: il brand tutto al femminile che rivaluta canapa, lino e coloranti dagli scarti di frutta e verdura

Eco-tessuti e tinte ottenute da scarti agricoli diventano di grande moda e sfilano in passerella. È quanto accaduto a Roma dove l’associazione Donne in Campo ha lanciato “Agritessuti” un nuovo marchio ecologico che unisce sapientemente insieme abbigliamento, agricoltura e ambiente.

La domanda di capi maggiormente sostenibili è cresciuta nel nostro paese in maniera rilevante (78% solo negli ultimi due anni) e oltre il 50% delle persone è disposta a pagare di più pur di indossare un capo che sia amico dell’ambiente. In quest’ottica di mercato, con l’obiettivo di creare una filiera del tessile non solo ecostenibile ma anche made in Italy e tutta al femminile, è nato il marchio Agritessuti.

Questo si serve esclusivamente di tessuti naturali e bio come lino, canapa e gelso da seta, arricchiti da tinte realizzate con scarti agricoli quindi sostanzialmente con frutta e verdura ma anche radici, foglie e fiori.

L’idea è venuta all’associazione Cia-Agricoltori Italiani Donne in campo che, oltre al discorso ecologista, hanno fiutato un buon affare considerando che, secondo le ultime stime, la produzione di eco-tessuti è attiva attualmente in 2000 aziende del nostro paese con un fatturato che sfiora i 30 milioni di euro. Secondo le previsioni, vi è la concreta possibilità che questo possa essere addirittura triplicato nei prossimi 3 anni, considerando il successo della moda ecologica.

Come ha dichiarato la presidente nazionale di Donne in Campo-Cia Pina Terenzi:

“E’ una filiera tutta da costruire, ma di cui abbiamo il know-how, considerata la vicinanza tra le donne e la tradizione tessile, nella storia e ancora oggi. Per questo, ribadiamo la necessità di dare vita a tavoli di filiera dedicati, al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, a sostegno della produzione di fibre naturali, a cui andrà affiancata la creazione di impianti di trasformazione, diffusi sul territorio e in particolare nelle aree interne, per mettere a disposizione dell’industria e dell’artigianato un prodotto di qualità, certificato, tracciato e sostenibile”.

Insomma proposte concrete per far funzionare e allargare il business, coinvolgendo ad esempio anche chi produce piante officinali e tintorie (ad esempio lavanda e camomilla) oltre che aziende agricole che potrebbero avere scarti interessanti delle loro produzioni (bucce di cipolla, foglie dei carciofi, scorze di melograno, ricci dei castagni e residui della potatura degli olivi).

Mentre attualmente l’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo (per non parlare dello spreco di acqua e dei diritti dei lavoratori calpestati), soluzioni come queste, se davvero prendessero piede in maniera più incisiva, potrebbero fare la differenza.

Un’altra moda è davvero possibile!

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Francesca Biagioli

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